di Simonetta Ottone • Credo che questa sarà per me
la croce più pesante da portare… il sentimento di non poter mai fare abbastanza
per meritare tutta questa fiducia e affetto (Aung San Suu Kyi, da "Libera dalla paura")
9 Novembre 2015, è’ festa grande
in Birmania: sono in migliaia che danzano tutta la notte sotto una forte pioggia. «Stiamo sereni e
calmi. Il vincitore deve rimanere umile ed evitare di offendere gli altri. La
vera vittoria è del Paese, non di un gruppo o di singoli», dice Aung San Suu
Kyi che sembra essere in vantaggio.
Aung San Suu Kyi vince in
Birmania. La Lega
nazionale per la democrazia, ha conquistato i due terzi dei voti in seguito
alle elezioni legislative dell’8 novembre. Un quarto dei seggi resta ai
militari. La costituzione (modificata appositamente) vieta a Suu Kyi di
diventare presidente, ma la leader della Lega nazionale ha dichiarato che
guiderà ugualmente il paese in caso di vittoria. Una storia incredibile quella
di Aung San, 70 anni di vita totalmente
messi a disposizione della libertà del suo popolo.
Indomabile dissidente birmana,
Premio Nobel per la Pace 1991, 15 anni di arresti domiciliari lontana dai figli
e dal marito (che perderà in Inghilterra senza poterlo assistere nella malattia).
Guida elettiva di un popolo del terzo mondo nel difficile cammino verso l’autodeterminazione
e la liberazione da una dittatura spietata. E i birmani, popolo con un reddito
procapite tra i più bassi del pianeta, hanno dato vita a un’affluenza record
dell’80%: era l’ultima occasione per portare democrazia nel Paese. La leader democratica che si
batte pacificamente da decenni contro il regime dei generali sa tuttavia che
per formare un governo e in un secondo momento cambiare la Costituzione dovrà
trattare sia con l’USDP, partito sostenuto dall'ex giunta militare, sia con le
minoranze etniche. E poi deve attendere la vera reazione dei generali.
La prudenza della signora Suu Kyi
è giustificata non solo dal passato - elezioni truccate, le battaglie di suo
padre e sua madre prima di lei, la contestata vittoria scippata nel 1990 dopo
la quale la figlia del fondatore della Birmania indipendente conosce gli
arresti e l’impossibilità di lasciare il Paese pena il divieto di tornare - ma
anche dalla necessità di evitare lo scontro con i militari.
Con Aung San Suu Kyi, come fu con
Nelson Mandela, trionfa un nuovo modo di fare politica, che investe tutto sull’alleanza
da costruire con le persone, che rifiuta logiche coercitive, violenze e
integralismi di tipo culturale, religioso, economico, metodologico, che mostra
mani piccole e nude di una donna che racchiude, in un corpo di poco più un
metro e mezzo, una forza di coerenza davvero titanica.
E’ la capacità di pensare e agire la politica che
è innovativo, al punto da mettere in discussione, radicalmente, il modello di
sviluppo dei paesi cosiddetti “avanzati”, se per avanzata si può definire l’infausta
tendenza a configurazioni di politica
internazionale che mettano in conto di produrre, come fossero inevitabili, “effetti collaterali” basati sulla
sperequazione, sbilanciamenti di sfere d’influenza, traffici di ogni tipo, depauperamento di
ricchezze e di opportunità tra paesi del primo e del terzo mondo, come ci
confermano dolorosamente la recrudescenza di conflitti al di fuori di ogni
controllo e prevedibilità che bussano alla nostra porta di casa.
E oggi, in questa Domenica stordita del 15
Novembre 2015, sono queste, le sue, le uniche parole che si possano pronunciare: Non è sufficiente limitarsi a
invocare libertà, democrazia e diritti umani. Deve esistere la determinazione
compatta di perseverare nella lotta, di sopportare sacrifici in nome di verità
imperiture, per resistere alle influenze corruttrici del desiderio, della
malevolenza, dell’ignoranza e della paura (…) gli uomini liberi sono gli
oppressi che insistono e che in questo processo si preparano ad assumere le
responsabilità e a sostenere le discipline che mantengono una società libera
(…).
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