venerdì 31 ottobre 2014

1 novembre contro l'Isis: a Firenze in Santa Maria Novella

il 1 novembre 2014 Manifestazione globale contro lo Stato Islamico, per Kobane e per l’Umanità: a Firenze l'appuntamento è alle 14,30 in Piazza Santa Maria Novella.

Il duro assedio attuale, dei criminali dell'ISIS a Kobane, regione curda nel nord della Siria, è solo l'ultimo di una serie di violenti attacchi a quest'area. Nel gennaio di quest’anno i curdi di Rojava (Kurdistan occidentale) hanno costituito amministrazioni locali sotto forma di tre cantoni, uno dei quali è Kobane. Al nord della zona si trova il confine turco, mentre tutti gli altri lati sono circondati da territori già controllati dai miliziani fanatici dell'ISIS, i quali avanzano con forti dotazioni di armi pesanti di fabbricazione USA, perpetrando una efferata carneficina (secondo i curdi "il più brutale genocidio della storia moderna"). Armati solo di armi leggere, gli abitanti di Kobane resistono da soli, assistiti unicamente dalle Unità di Difesa del Popolo e dalle ormai celebri unità di resistenza in cui tanto ruolo hanno le donne - senza alcun aiuto internazionale, e senza nessun sostegno dalla vicina Turchia. Non solo la cosiddetta coalizione internazionale per combattere ISIS non aiuta la resistenza all'Isis in modo efficace, ma in particolare la Turchia (il cui governo è tradizionalmente nemico della minoranza curda), è ritenuta addirittura tra i sostenitori finanziari e militari del terrorismo dello "Stato islamico" in Iraq e Siria. Per questo, dicono gli organizzatori, è urgente e vitale una mobilitazione internazionale e per questo è importante la Manifestazione Globale del 1 novembre. 

Raccogliamo dunque il loro appello:
Vi chiediamo di unirvi alla Manifestazione Globale per Kobanê. Invitiamo le persone in tutto il mondo a mostrare la loro solidarietà con Kobanê. Scendete in piazza e manifestate, dovunque viviate. Se il mondo vuole democrazia in Medio Oriente sostenga la resistenza kurda a Kobanê. 
Solo l’autonomia democratica nel Rojava e il suo modello (chei pratica una posizione laica, non settaria, di unità nella diversità) può promettere un futuro libero per tutti i popoli in Siria.  

martedì 28 ottobre 2014

Non mi scuserò di essere una donna

di Simonetta Ottone Ci sono state le elezioni provinciali in Toscana. Elezioni con modalità particolari, a elettorato ristretto, che danno una visuale parziale. Comunque, per le province di Livorno, Grosseto, Massa Carrara, Pistoia, Prato, Pisa, Arezzo, risultano 6 Presidenti uomini contro 1 sola Presidente donna. Sono quasi tutti Sindaci, e secondo l'ANCI toscana nel Maggio 2014, su 691 candidati a Sindaco, 549 erano uomini (79,5%) e solo 142 donne (20,5%). Non a caso trovare Comuni in Italia guidati da un Sindaco donna è impresa quasi impossibile. Vado a Firenze e vedo che il Consiglio Metropolitano (nato con regole altrettanto particolari simili alle elezioni provinciali), conta 13 uomini e 5 donne. Mentre in Consiglio Regionale gli uomini sono 45 e le donne 10; un po' meglio solo in Giunta regionale: con 6 uomini e 4 donne.  Ma, evidentemente, gli uomini scelgono gli uomini.
Un po' come gli editori, i cui vertici spesso sono maschili, pubblicano più facilmente scrittori uomini.
Insomma, a parità di meriti o con un vantaggio per le donne (non foss'altro perché studiano di più), appare una scelta più sicura, meno discutibile, dare credito a un uomo. E investire su lui, nella speranza di un ritorno certo (?) e  immediato (?). Sicuramente conformistico.
Sono tanti i campi in cui questo emerge, con il suo corollario di contraddizioni.

Poi ci siamo noi in Europa. Gala Leon, ex tennista, è stata nominata capitano della squadra di tennis della Davis; i giocatori uomini di cui è a capo si sono ribellati al suono di "gli spogliatoi non sono posti per donne". Gala Leon è costretta con loro a dare spiegazioni sul suo incarico, ma si rifiuta di lasciarlo o modificarlo, dicendo "Non mi scuserò di essere una donna". 

Voci affermano che Gala Leon non è stata una grande tennista, per cui non può pretendere tutto questo rispetto, cosa che sarebbe andata "d'ufficio" a un uomo. 
Già, quando non ci sono buoni argomenti, agli uomini conviene fare i detrattori dei meriti delle donne. Perché "sono i meriti, non il genere, ciò che è importante e è riconosciuto. Non le quote rosa o i posti per legge. Le pari opportunità ci sono, su base meritoria. Altrimenti sono temi vacui e dannosi, proprio per le donne", mi scrive con arrogante sicurezza un dotto conoscente studioso, improvvisamente preoccupato delle sorti del talento femminile.
Sì perché, io sono femminista nella misura in cui mi manifesto consapevole di essere cresciuta in una cultura maschilista e sento il bisogno di riequilibrare, in modo critico. Sono semplicemente un prodotto della mia educazione, per contrasto.
Serve così poco per essere femminista, e per amare profondamente gli uomini - ma da pari.
Non è facile, però. Perché già nel momento in cui non esprimi loro sudditanza fattiva o psicologica, e lo fai in modo civile, loro si agitano, si compattano nemmeno avessero quattro anni, e ti attaccano insieme. Sei tu il nemico che vuole scardinare un ordine precostituito e in quanto nemico devi essere ridicolizzato, sminuito, in qualche modo abbattuto. Come dire: siamo uguali per forza, perché nego che ci succedano cose diverse, e questo è quanto basta. Semplice. Voi non siete visibili come noi, nei vari ambiti, perché è un fatto di meriti. Dunque noi, non meritiamo abbastanza.
Può essere; ma non mi risulta. Sono sempre stata alla larga dalle ideologie, principalmente perché mi annoiano. Ho bisogno di misurarmi concretamente, libera da cerotti mentali. Questo non piace a tutti.
Ma torniamo al fossilizzato mondo dei partiti e della politica. A cominciare dagli elettori, che cercano nei loro rappresentanti soprattutto una conferma identitaria. Intanto, la massa elettorale femminile spesso è numericamente maggiore. Si presume quindi sia ben rappresentata. Finora no, visto che la politica è un ambito in cui gli uomini hanno prosperato e creato imperi personali.
Il 2013 ha finalmente visto entrare nel Parlamento italiano più donne e giovani. Un fenomeno senza precedenti: le parlamentari sono quasi un terzo dei parlamentari eletti, con un aumento superiore a dieci punti percentuali rispetto al 2008 e quasi un raddoppio rispetto al 2006. Gli sforzi di PD e M5S hanno permesso l'inserimento di donne per un buon 38% e le parlamentai italiane sono in tutto il 31%.
• All'estero scopro che il numero maggiore di parlamentari donne spetta alla Spagna (38%) e alla Germania (32%). L'Italia si trova addirittura davanti a paesi come la Francia (25%), la Gran Bretagna (22%) e USA (solo 18%).
• Riguardo al Parlamento europeo la sessione di apertura del 2014 vede la presenza delle donne al 37%.
Bene, a volte bisogna ricalcolare dove siamo. Soprattutto quando tutto congiura per confonderti. Siamo su una Via che forse è la strada maestra.
Soprattutto se le donne in politica saranno sempre meno immagine e porteranno una qualità e un contenuto diversi, un pensiero autonomo, ricordando le donne invisibili fuori dal Parlamento, pretendendo un confronto decente da parte degli uomini e forse, anche dovuto. La loro politica in fondo, ha ampiamente dimostrato, per come la conosciamo, la sua inadeguatezza e nocività rispetto allo sviluppo della società. Finora la politica ha rispecchiato la società, soprattutto nei paradossi; non solo non l'ha guidata, ma si è inserita nelle sue falle, ampliandole in modo grottesco. Ha fallito il suo pretenzioso ruolo di visione globale.
Ma in quel settore, come in altri dove la presenza dell'uomo è preponderante e dà un taglio, gli ostacoli sono molti, perché gli uomini si barricano e non mollano un centimetro e tu non puoi sempre faticare al quadrato rispetto a loro. E' la solitudine del maratoneta su lunga distanza, quella che viene richiesta alle donne per farsi perdonare il desiderio di valorizzare le proprie attitudini e capacità, come fa di diritto un uomo.
Il grande rimosso collettivo è questa disparità, è l'impossibilità di ammettere che, per come siamo socialmente organizzati, alla donna viene richiesto l'impossibile per essere centrale e determinare scelte nella realtà in cui vive.  [E a volte le donne l'impossibile lo fanno… a quanto pare è grazie a loro che l'avanzamento dei combattenti di Isis ha subito un rallentamento]. 
E questa verità, si deve poter dire a voce alta, senza temere alzate di scudi tanto imbarazzanti quanto ingiustificate.
Perché l'emancipazione delle donne dipende dall'emancipazione degli uomini.
In questo, come in altri fatti della vita, siamo indissolubilmente legati gli uni agli altri.

E a volte le donne l'impossibile lo fanno… a quanto pare è grazie a loro che l'avanzamento dei combattenti di Isis ha subito un rallentamento.  

domenica 26 ottobre 2014

Incontro con Cristina Obber

Lunedi 27 ottobre a Firenze, alla Libreria Feltrinelli, h. 18.00: incontro con Cristina Obber per la presentazione di "L'altra parte di me": una storia d'amore fra due adolescenti lesbiche, che non è solo un romanzo, ma anche un viaggio nei modi di pensare e di vivere la complessità delle relazioni. 
Nel caso: se provate a chiedere a dieci persone cosa significhino i termini accettare e tollerare, vi accorgerete che prevale la percezione più legata alla sopportazione che alla condivisione, nei migliori dei casi all’indulgenza appunto, che ci lascia su piani differenti. 

Rispettare non significa sopportare.
Così nel libro Francesca, la protagonista, si ribella alla tolleranza della sua omosessualità, alla falsa accettazione: quella, appunto che fa sì che nella sua famiglia il suo essere lesbica venga sopportato, come si accetta un dolore, una malattia, una calamità, ma nulla più. E invece Francesca vuole quel più. Quel sostegno che diviene condivisione di felicità, spinta, appoggio, felicità stessa per dei familiari che dovrebbero gioire della tua realizzazione e invece non fanno che soffrire per ciò che non sei e avrebbero tanto voluto tu fossi.
Per altre info e per il programma completo delle presentazioni vedi anche: Si può fare politica con una storia d'amore?

giovedì 16 ottobre 2014

Servono nuovi modi per un nuovo mondo. Parliamone a Firenze

Quale economia? quale finanza? quale crescita? e qual è la responsabilità sociale, quella collettiva, quella individuale nelle direzioni che prendono i "mercati", trascinando con sé le persone (ma anche gli animali, le risorse naturali, ogni cosa vivente) come maree?

Il nostro mondo è esausto. Le mille crisi che si manifestano su ogni piano sembrano tutte senza vie di uscita. Quelli che ci hanno portato fino qui restano saldi ai loro posti e non si sognano di avere idee nuove. Noi ci sentiamo impotenti ma in realtà incidiamo, ogni giorno, con le nostre scelte, in tutto ciò che accade.
In tutto ciò come possiamo incidere meglio e più coscientemente? come trovare nuovi modi per un nuovo mondo?

Dal 17 al 19 ottobre su tutto questo si può ragionare insieme, a Firenze a Novo Modo: un festival civile sulla responsabilità sociale. 
Incontri e azioni per la salvaguardia e la promozione di un welfare inclusivo e sostenibile, per la difesa e la promozione del bene comune dell'ambiente, per la costruzione di un modello sociale mediterraneo di pace e ospitale.
Per tre giorni si parlerà di nuova economia, ambiente, crisi climatica. Di responsabilità delle forze sociali e della politica. Di lotta alle mafie, di lavoro e diritti, di finanza e credo etico
Gli organizzatori dichiarano di voler riportare la responsabilità al centro del nostro agire e di cercare un nuovo modo di leggere e affrontare le conseguenze della crisi. Guardano a un nuovo patto sociale, ampiamente condiviso, che unisca la solidarietà con la creatività, la fiducia con l’intelligenza. Sperano di condividere una carta di impegni e di obiettivi per un nuovo modello sociale.
Aprirà il festival, venerdì 17 ottobre alle 10.30, la Ministra per gli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta. Si susseguiranno poi numerosi appuntamenti in cui sarà possibile confrontarsi con molti protagonisti di iniziative di responsabilità; da don Maurizio Patriciello (il parroco di Caivano che ha dato voce alla Terra dei Fuochi) a Monica Sarsini (che ne ha data alle detenute di Sollicciano).
Dalle 10.00 alle 19.30 presso Auditorium di Sant’Apollonia, via San Gallo 25/a.
Organizzato da: ACLI, ARCI, Banca Popolare Etica, Caritas, CISL, Fond. Culturale Responsabilità Etica, Legambiente.  Ingresso libero.

domenica 5 ottobre 2014

Città d'acqua

di Simonetta Ottone • Toscana, terra di artisti e di artigiani, dicevano.
La storia ne ha fatto terra di eccellenze, di straordinarietà. Ancora oggi è piena di possibilità, spesso inespresse, e  la geografia continua a benedirla.        
Livorno è la terza città della regione per popolazione, la quinta dell'Italia centrale. Ha un grande, sconfinato orizzonte, una luce chiara e piena, ma gioca da tempo il ruolo di una Toscana minore, alla periferia dell'impero. 
Livorno, tra terra e acqua, tra campagna e città, si è dimenticata di sé e si è fermata; solo di rado ricorda incredula glorie di un passato che ha preso le sembianze della decadenza, della dimenticanza. 
Quell'epoca ha preso il largo e non è tornata più, di nuovo, nel nostro porto mediceo. Banchine vuote e attracchi disertati ci trattengono lo sguardo, in attesa, e ci muovono l'umore di fondo di una melanconia, tutta labronica, goffamente malcelata  di ironia.

Luogo calamita, Livorno gode di un particolare microclima emotivo, dove il mondo fuori sembra lontano, un po' irreale e non così desiderabile. E' anche un posto che fa nascere la creatività, ma poi non sa che farci, così anziché farla volare oltre il mare, ce la affoga.
Livorno è così imperfetta che si riempie di poesia. Forse è per questo che ha sempre attirato numerosi e bravi artisti, alla ricerca dei grandi, che eppure qui nacquero Modì, Mascagni, Caproni,  Ciampi. Alcuni l'hanno scelta come luogo in cui vivere e creare, altri, tantissimi, come quei  Maestri, non son potuti rimanere, altri ancora la vivono come una tappa, piacevole ma non fondamentale, della loro forzata traiettoria nomade.
Un po' come noi che ci abitiamo, e seminiamo di continuo nella sabbia, in attesa di quei grandi appuntamenti che altre italie riescono a cogliere, subito, o addirittura a far nascere.
Spaccata in 19 liste elettorali alle ultime amministrative (tantissime le liste civiche), la città è l'emblema della difficoltà tutta italiana a accettare un cambiamento radicale.
9,4% è la percentuale di disoccupazione femminile, 7,9 quella maschile.
9688 le donne laureate nel 2011, 8248 gli uomini.
Problemi abitativi cronici, scarsità di servizi per l'infanzia (nidi pubblici e scuole materne), in aumento la richiesta d'intervento per dipendenze, in particolare da alcol e giochi d'azzardo, disagi psichici e sociali. Abbattimento massivo di presidi culturali, chiusura della maggior parte di sale, teatri e cinema. 
Livorno è una città che sta male, da tempo. Basta avere occhi per vedere. E' una città maschia, però: degli undici candidati a Sindaco, solo tre erano donne.
Riconfermata quindi una qualità di potere, una fiducia a una leadership tutta maschile; arriva subito una guerra senza quartiere tra cittadini, un tutti contro tutti volto non solo a sconfiggere, ma addirittura a umiliare la compagine partitica che aveva guidato la città negli ultimi 70 anni e di cui, nel bene o nel male, eravamo figli tutti.
Anziché allearsi tra fratelli e pretendere che i padri, che hanno cannibalizzato tutto e tutto tenuto per sé, organizzassero il loro tramonto, come cittadini consapevoli si aspettano dai loro rappresentanti, ne abbiamo approfittato per fare altro. Il nostro istinto territoriale ha predominato, eccitando la distruzione nella distruzione, e ci siamo predati la città.
Il progetto è riuscito, la bellezza guerriera ha trionfato e si è usciti, per un attimo memorabile, dalla penombra. Le armi brillavano, e tutta Europa parlava di noi.
Ma la guerra è guerra e ora tutti hanno più ragioni di essere contro tutti. E la città implode.
D'altra parte, come era possibile il contrario? Come influire e determinare un cambiamento se si perpetua il modello responsabile della deriva della politica italiana?
Reclamo il diritto alla parità di genere per gli uomini italiani.
Vorrei che ne beneficiassero, vorrei non fossero più imprigionati da un'idea culturale che li faccia pensare e agire in una perenne contrapposizione di valori. Perché è una voragine senza fine quella che ci porta, tutti quanti, a identificarci come amici e nemici, a vivere il confronto come una battaglia, a manipolare la disperazione delle persone, per essere sicuri di uccidere il nemico.
Nell'ultima competizione elettorale, poi, il nemico era ovunque.
E l'essere accecati non ha permesso di capire che si confondevano i piani: il pubblico e il privato, titoli e esperienza, il personale e il politico, teoria e pratica, organizzazione e approssimazione. Il successo è stato l'insuccesso dell'altro, l'altro che non è stato nei tempi e nei metodi necessari al rinnovamento profondo auspicato dai cittadini stessi.  L'altro che non è voluto cambiare.
C'è stato un vincitore e un perdente, come in tutte le guerre da millenni or sono. 
Non sarebbe stata guerra se ci fossimo definiti su quello che siamo, sulla vita che facciamo, su ciò che desideriamo, sul futuro che cerchiamo. Uno spettro possibile, capace di creare un progetto di cura e di rinascita della città,  senza predare, ma investendo su una visione comune, mettendo in campo tutte le forze migliori, e dando vita a ciò che non c'è. Consapevoli, ognuno, delle proprie fragilità, e facendo tesoro delle differenze.
Ma Livorno è una città maschia, e irrimediabilmente vecchia, perché ha scelto un progetto di morte.
Un luogo bellissimo e selvaggio, libero e prigioniero, dove trionfa ancora l'appartenenza al branco, qualsiasi branco, anche improvvisato, dove sia possibile confezionare identità, successo e potere a basso sforzo, senza troppe pretese e reali aspirazioni.
E sì che ogni comandante d'esercito sa di essere arbitro del destino di un popolo, l'uomo dal quale dipenderà se la nazione sarà in pace oppure in pericolo. 
Ma noi guerreggiamo, poi disquisiamo, inventiamo nuove battaglie, giusto per non slanciarsi, oltre l'illusione della rivoluzione, in una evoluzione possibile.
E intanto il mare, quello blu dei macchiaioli, è lì davanti a noi e ci dà opportunità grandi, per meritarcelo. Il nostro mare è ciò che gli altri non hanno.
Con la Legge Del Rio sul riordino delle province, il grosso baricentro della Toscana centrale sono i comuni della piana: Firenze e la città metropolitana avrà la possibilità di intercettare finanziamenti e concretizzare politiche di sviluppo.
La zona costiera dovrà cogliere l'occasione: il riordino delle province apre una possibilità entusiasmante per  mettere a sistema qualità, mettendo a frutto ciò che manca agli altri. Pisa, infatti, ha il sapere tecnologico, Lucca l'interesse storico, ambientale e turistico, Livorno il mare.
Il porto è una porta sul mondo esterno, è un punto di contatto, da valorizzare al massimo. E' un accesso a tutta la Toscana, che avvantaggia e deve interessare tutti. Un piano regolatore che permetta a una parte della città di essere più integrata col porto è una scelta necessaria al rilancio della città e un'opportunità vera per tutta la regione, poichè è un centro logistico industriale senza eguali in Italia e al centro dell'Italia stessa. E' auspicabile che sia possibile programmare insieme, in una rete di territori e realtà, settori come porti e interporti, e non solo.
La Cultura, che rischia di rimanere un settore affamato rispetto al gigante metropolitano, è un ambito collegato al transito delle persone e al turismo, potrebbe moltiplicare l'economia, attraverso la creazione di un'area della costa toscana, declinata nella forma di distretto culturale. In questo modo,  le svariate realtà, sia di base che specifiche, potranno alimentare un circolo virtuoso di collaborazioni, scambi, divisioni di specificità e di costi. E la provincia di Livorno si estende dritta e lunga, per oltre 100 Km di costa, e anima un arcipelago di festival, teatri, manifestazioni che denotano una vivacità e dinamicità del tutto peculiari e da valorizzare.
E forse è proprio vero, che il nostro mare, con i suoi porti, interporti, retroporti, porte aperte da attraversare e abitare, è ciò che, legando il passato col presente, ci chiede di liberarci dalla mentalità arcaica della predazione e del controllo autoreferenziale del territorio.
Solo così, aprendoci in orizzontale, potremo mantenere quell'identità di "gente di mare" del XXI° secolo, con sguardo chiaro e schietto che sa guardare lontano.