domenica 6 dicembre 2015

Le mie romanziere: intervista a Francesco Niccolini

di Simonetta Ottone • Un incontro atteso da tempo, quello con Francesco Niccolini. Un nome e un modo di porre il teatro e la sua scrittura che hanno alimentato la possibilità di agganciare il nostro lavoro sul campo di operatori teatrali, alla vita. Quella dentro e fuori di noi, quella che viviamo o che ci scorre accanto, ma che facciamo nostra, per restituirla attraverso narrazioni di voce, corpo e parola.

 Come ti sei avvicinato al Teatro e alla sua scrittura?
Mi sono laureato in Storia dello Spettacolo a Firenze. L'ho deciso subito al primo anno, dopo aver vissuto una indimenticabile lezione su Luchino Visconti e Giorgio Strehler: decisi che avrei voluto fare teatro. E così è stato. Fino ai trent'anni dividendomi con un altro lavoro (facevo il grafico pubblicitario), poi senza più abbandonare il teatro un solo giorno.

 Nel tuo lavoro sei venuto in contatto con la Toscana?
Sono nato in Toscana, tuttora vivo metà della mia vita a Livorno. In Toscana ho lavorato molto in passato: fino al 2000 ho diretto un festival ad Arezzo, poi mi sono trasferito a Castiglioncello dove insieme a Massimo Paganelli, Fabio Masi e Angela Fumarola ho fondato il festival Inequilibrio. Castello Pasquini è stato un posto speciale nella mia vita per molti anni e non nascondo di ripensarci spesso. Nel frattempo ho lavorato lontano con molti grandi artisti (Marco Paolini su tutti) ma alcune cose ho potuto farle anche in Toscana, in tutti gli ambiti delle arti dal vivo: con Roberto Castello e Giorgio Rossi nella danza, Bruno De Franceschi nella lirica, e poi ho scritto testi per Anna Meacci, Sandro Lombardi, Letizia Pardi, Fabrizio Cassanelli. Nel 2006 ho realizzato uno dei lavori che ho amato di più: “La Grande Guerra dell'Arno”, uno spettacolo evento per i 40 anni dell'Alluvione a Firenze. In scena tre grandissimi amici: Sandro Lombardi, Marco Paolini e Anna Meacci. Una esperienza bellissima e indimenticabile che sto per riprendere con Arca Azzurra e con un testo rinnovato.

 Chi sono i tuoi riferimenti, i tuoi Maestri? Qualcuno di questi è una donna?
Più che maestri, direi grandissimi compagni di viaggio dai quali ho imparato moltissimo: alcuni in carne e ossa, altri per le parole che hanno lasciato e sulle quali mi sono formato. Sì, la mia vita teatrale ha una fortissima base come lettore di grandi romanzieri. Marguerite Yourcenar, Irène Némirovsky ed Elena Ferrante su tutti. E poi qualche caso speciale, tipo quello di Patrizia Runfola, una scrittrice siciliana decisamente poco nota, ma secondo me una stella di prima grandezza che ha avuto poco tempo per poter brillare.

 Cosa pensi del rapporto donna e teatro, donna e scrittura, donna e arte?
Non ho mai fatto una distinzione uomo/donna in questa materia. Ho lavorato con grandi artisti, il loro genere è sempre stato una questione secondaria: sulla scena non ho mai sentito differenza o fatto distinzioni. Cerco di lavorare con grandi professionisti, dotati di talento e dedizione. Fra questi, sicuramente delle donne speciali, su tutte Angela Finocchiaro, Laura Curino e Anna Bonaiuto.

 Ci sono in Italia donne autrici che fanno la differenza?  
Emma Dante, Lucia Calamaro ed Elena Stancanelli sono i primi nomi che mi vengono in mente.

 Che spazio ha attualmente in Italia il teatro contemporaneo?
Non so se sono in grado di fare un'analisi seria delle forme del teatro italiano contemporaneo: di sicuro siamo vittime più di ogni altro paese d'Europa di un sistema che privilegia le star (della televisione) e i testi classici. C'è pochissima curiosità e voglia di rischiare sul contemporaneo. Ma c'è anche una scarsissima fiducia dello Stato nel riconoscere un ruolo fondamentale della creazione nella cultura italiana. Questa è la vera tragedia. E un sistema lobbistico, dove chi è dentro è bello saldo, chi è fuori resta fuori, e gli unici spiragli sono per gli amici del partito giusto in quella regione o in quella spartizione. Una volta Massimo Paganelli ebbe a dire di me a un regista amico che sono senza partiti né padrini alle spalle, e per questo non avrei mai potuto accedere ai posti importanti. Lo prendo come un grande complimento, anche se con evidente amarezza.

 Che sistema ci manca rispetto a altri paesi europei?
Ci mancano i soldi spesi bene, manca convinzione e una reale capacità di scegliere la qualità, invece degli amici e i finti borderò. Ci manca la voglia di andare contro il gusto di un pubblico moribondo per una parte e televisivo per l'altra.

 Trovi che la società in cui viviamo sia violenta nei confronti delle donne?
Trovo che ci sia molta violenza, e che le donne ne paghino il prezzo più feroce insieme ai bambini. Immagino che sia il frutto di millenni di società patriarcale, dove la violenza ha sempre avuto molto più spazio del diritto.

 C'è una sperequazione di potere e opportunità fra i due generi?
Meno che in passato forse, ma sicuramente ancora sì. Però in questa materia rischio di essere molto generico: a me sembra ormai che la sperequazione sia fra chi ha un posto fisso e garantito e tutti coloro che devono stringere i denti senza nessuna garanzia, con pagamenti sempre più in ritardo e l'obbligo di cedere a molti ricatti pur di lavorare.

 Che senso di appartenenza ha questo lavoro  a un contesto civico e politico?
Non esiste teatro senza una comunità di fronte alla quale generare l'atto teatrale. Non c'è teatro fuori dalla città, nel senso più radicale di civitas. Chi mi conosce sa bene che il mio teatro, i miei documentari, i miei libri a fumetti sono tutti segnati da un fortissimo impegno civile e politico, non dentro uno schieramento partitico. Faccio un esempio per me importante: da un paio di anni sto lavorando a una trilogia di racconti con tre attori pugliesi con i quali vorrei raccontare le esperienze e le vite di Antonio Gramsci, don Lorenzo Milani e Danilo Dolci. Credo che si possa intuire da che parte sto, e non faccio nulla per nasconderlo.

 Che importanza hanno nella nostra società la cultura e in particolare il Teatro?
Nella società italiana pochissima. All'estero molto di più: altrove c'è ancora un riconoscimento forte tra un'idea di cultura, nazione, popolo, creazione contemporanea. Da noi prevale un'idea archeologica della cultura e dell'arte, ci piace illuderci che un passato ormai lontanissimo continui a fare dell'Italia la culla della cultura, ma è un atteggiamento perdente e si vede. Noi ormai siamo l'estrema periferia di un mondo che viaggia a ben altra velocità e con ben altri orizzonti, sogni e interessi.

  Prossimi progetti
A marzo debutterà un grosso spettacolo di teatro in musica che ho scritto per Eugenio Finardi, una decina di giovani attori e la regia di Emanuele Gamba. Incredibile ma vero, la produzione (Todo Modo) è livornese... cosa che mi sorprende e mi rende felice. Fare le riunioni a casa mia e andare alle prove a piedi mi pare innaturale... ad aprile inizierò le prove a San Casciano con Arca Azzurra sullo spettacolo per i 50 anni dell'alluvione: due spettacoli in Toscana... mi pare bellissimo.
Per il resto, i miei progetti insistono intorno a un solo centro: cercare di fare cose belle. Spettacoli, libri e documentari che creino emozione, che lacerino pance e menti, che generino indignazione oppure provochino il batticuore, sempre nel rispetto della verità, senza menzogne, al massimo inventando, ma sempre e rigorosamente senza menzogne. Con i pochi, poveri strumenti a mia disposizione: corpi d'attore, mani di disegnatori, parole, musica, qualche luce, un po' di colore, partendo sempre da una pagina bianca. Mai da solo, sempre in viaggio con altri amici, artigiani, artisti verso i quali provo una profonda stima e un grande piacere nel condividere le stagioni della mia vita.