sabato 10 marzo 2018

Il Teatro e la gioia dei corpi. Intervista a Cathy Marchand

di Simonetta Ottone • Autunno 2017. Incontro Cathy Marchand a Livorno, in un periodo di lavoro al Centro Artistico Il Grattacielo. La guardo in “Personnages… in cerca di autore”, con tema musicale scritto da Franco Battiato.

Una donna minuta, che neanche in scena nasconde la sua umana fragilità, ma che parla un linguaggio, che è il linguaggio stesso del periodo culturale in cui ti sei formata. E’ un ritorno a quel luogo, un riconoscersi ora, come allora. Due grandi occhi, espressivi o severi, aperti su ciò che c’è intorno. Parla un po’ francese, un po’ italiano Cathy Marchand, componente di punta della storica Compagnia Living Theatre.
I Living Theatre e la rivoluzione del teatro. Per me è un sogno venirne in contatto dal vivo!
Iniziamo a parlare. Con lei non ti prepari domande, vuoi arrivare dritta al punto.

Cathy, che pensi di questi giorni, di questo periodo storico?
Che dire, speravo tanto non finesse così. La nostra società non è più liquida; è diventata gas. L’umano è un qualcosa da stigmatizzare, deve esser inquadrato.  E’ un disastro. E in Italia viviamo   tutto questo in modo drammatico.
Sono francese, ho vissuto a Parigi, in USA con I LIVING, ho girato molto. Ora abito in Toscana. In Italia c’è stata una rivoluzione in questi trenta anni in cui ha dominato un signore con un conflitto d’interessi inimmaginabile in Europa. La TV in questo paese ha contribuito ad alfabetizzare, a condividere la lingua italiana in ogni regione. La televisione in Italia è considerate importante, un maestro che ti ha insegnato a parlare. La televisione in Italia tuttora ha un potere immenso, neanche in USA ha un potere così. Dagli anni ’80 questo signore ha agito in maniera indisturbata per attuare una rivoluzione del costume, per far perdere il pensiero, perché questo non deve essere pesante, lento, profondo, deve essere veloce, farci ridere, non farci pensare. Le donne sono quelle che pagano di più: sono tornate indietro di almeno 30 anni! 
Il teatro in tutto questo diventa per forza obsoleto, lo spettatore è abituato a vedere i realities”.

E’ vero, penso io: inizialmente, sembra che le persone abbiano resistenze ad accettare la profondità. Nessuno sembra voler capire davvero più niente. Continuiamo a parlare, io e Cathy:
Le nuove generazioni non sanno neanche concepire una ribellione strutturale. Non sanno a cosa rivoltarsi, sono nati in questa era e non ci sono figure di riferimento credibili. O non le percepiscono come tali.
Noi sapevamo di voler andare contro i padri, questo facevano i ventenni degli anni ’60. Facevamo Teatro Politico per cambiare il mondo. Mi sembra di parlare di ciò che succedeva nel paleolitico! Mi sento inadeguata.” E continua Cathy: 
i giovani sembra non abbiano più curiosità, vanno su google, non hanno voglia di sapere di più: la TV e la sua cultura li ha addestrati alla passività. Orwell nel 1984 parlava di manipolazioni delle nostre menti. Chi è nato nel 1945 è cresciuto nel dopoguerra, siamo stati ammazzati dalla ribellione, da droghe pesanti, vivevamo nella tensione della guerra fredda, ma ci rimaneva la gioia di provare a cambiare lo stato di cose. I giovani no, sono già vecchi”.

E poi parliamo della vocazione del teatro, di Artaud del “Teatro della Crudeltà”, del Teatro e il suo doppio”. 
Della sacralità del ruolo di attore, di un mestiere che diventa urgenza. Del teatro come Rituale Collettivo.
Del Teatro come  Gioia dei Corpi. 
Della Gioia. 
Del rifiuto della finzione del palcoscenico, dell’eliminazione del confine tra Arte e Vita, tra attori e pubblico.
Della Beat Generation. Dell’esperienza preziosa in Italia di Carmelo Bene, Leo De Bernardinis, Raffaello Sanzio, Pasolini.
Di essere veggenti.

Come lo vedi il futuro del teatro, Cathy?
Cosa possiamo fare? Le donne e le diversità vanno indietro, i cinema storici di una capitale come Roma diventano Slot machine, la gente non legge.
Tra tanta mediocrità nel sistema, In Italia ci sono comunque delle eccellenze, delle menti magnifiche.
L’Italia è magna, in questo.
L’umano cambia, la gente è stufa della mediocrità, si scontra con crisi economica, senza punti di riferimento. In Francia dopo gli attacchi terroristici, la gente ha risposto attraverso la voglia di Cultura, alimentando la vita culturale. Parigi ha risposto subito.
Credo che noi che facciamo Teatro dobbiamo resistere: anche una sola parola è già importante. Bisogna crederci, credere alla nostra vita. Formare davvero i giovani, senza scorciatoie o facili illusioni. 
Grotowskj diceva che la famiglia del Teatro è insieme.
E Eugenio Barba: unire nella diversità.