sabato 25 luglio 2015

Sia la Libertà la nostra Fortezza

Stupro di gruppo alla Fortezza di Firenze del 2008. Tutti assolti.
In solidarietà alla ragazza tradita da questa sentenza, per noi stesse e per tutte le donne, martedì 28 Luglio, alle h. 21, unendoci a Unite in rete, chiamiamo tutte e tutti a raccolta per una grande manifestazione alla Fortezza di Firenze.  Riprendiamoci la Fortezza, perché
• le motivazioni della sentenza sono inaccettabili;
• questa sentenza ha leso l'autodeterminazione di tutte le donne;
• il processo è stato fatto alla ragazza e alla sua vita;

e vogliamo sapere perché la Procura generale non ha fatto ricorso facendo scadere i termini. Riaffermiamo la nostra libertà: siano processati i violenti, non le vittime della violenza.
Non vogliamo essere giudicate per come ci vestiamo e per il nostro orientamento sessuale.
Alla manifestazione, promossa da Unite in Rete, Artemisia, Tosca, stanno aderendo tantissime realtà.
Appuntamento a Martedì in Fortezza!

venerdì 24 luglio 2015

Biancaneve, il potere e il femminicidio. E chi tenta di prevenirlo, ma senza mezzi

di Simonetta Ottone • Dopo l'assoluzione per lo stupro di gruppo della Fortezza da Basso, la ragazza che denunciò scrive e diffonde una toccante letteraLoro giustificati, lei biasimata. 

Eppure ci sono referti medici e prove che attestano la subita aggressione e le modalità riportate nella denuncia. Ma la sentenza sembra archiviare la possibilità, per chi denuncia, di ricevere un trattamento "in scienza e coscienza", come amano definire i Giudici il proprio lavoro.
Mi domando cosa sia veramente la violenza, perché si rafforzi con una cultura giuridica che rasenta l'inflittivo per le vittime, perché non si riesca a difenderle degnamente, non si solidarizzi almeno il dovuto, con loro.
Mi torna in mente Sara, e il suo lavoro a tutto campo nella violenza: una donna magra, lunga, delicata, occhi scuri e timidi, dietro i grandi occhiali. Ha  lavorato in un Comune della costa tirrenica su più aree del disagio; inizia a occuparsi di violenza di genere quando in zona si costituiscono la rete antiviolenza e in seguito il codice rosa. 
Si costruisce giorno dopo giorno il lavoro in rete con Procura, Forze dell'Ordine, Ospedale, avvengono grossi cambiamenti.
Parlammo a lungo, un bel pomeriggio di qualche tempo fa. Mi parlò del Decreto Letta con queste parole: Questa Legge ha introdotto cose importanti:  è previsto l’arresto della persona maltrattante colta in flagranza (difficile che avvenga però!), e l’allontanamento d’urgenza dalla casa  familiare di chi ha agito violenza, un inasprimento delle pene, delle aggravanti ad esempio in caso di violenza assistita o se a subire una violenza è una donna in  gravidanza. E ancora la possibilità del gratuito patrocinio, la possibilità di mantenere segreta l’identità di chi fa una segnalazione.
Credo sia importante che la persona che fa querela lo faccia in modo consapevole, non vada spinta. Questa decisione deve scaturire da una maturazione profonda. Solo così si riducono le possibilità che la vittima ritorni sui suoi passi; nel corso della mia esperienza ho incontrato donne che hanno cambiato idea che hanno deciso di tornare con il proprio partner anche a fronte di un provvedimento di allontanamento dalla casa familiare della persona maltrattante. In questo senso, compito dei servizi è accompagnare la vittima in questo difficile percorso di uscita dalla violenza rispettando i suoi tempi interiori e soprattutto potenziando il suo senso di autostima e valorizzando le sue risorse personali che spesso dimentica di avere. Solo nel momento in cui si sente più sicura di sé, solo nel momento in cui riconosce e dà voce al proprio valore, solo allora può uscire dalla confusione in cui è immersa, vedere la realtà con più lucidità e iniziare a intravedere possibili alternative a una vita fatta di relazioni violente.
Un’altra difficoltà che spesso incontriamo è legata a situazioni dove i reati che si configurano sono perseguibili d’ufficio. In questi casi noi operatori del servizio pubblico abbiamo l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria. Non sempre in questi casi è facile prendere una decisione soprattutto se la vittima che abbiamo di fronte non è pronta a sostenere tutto ciò che può comportare una denuncia o se quella scelta di cui parlavo sopra non è ancora stata maturata dentro di sé. La mia risposta per affrontare tale difficoltà è la condivisione con il gruppo di lavoro costituito da tutti gli operatori coinvolti su quella specifica situazione che possono essere ad esempio psicologi/ghe interni all’asl o delle associazioni presenti sul territorio medici specialisti, referenti delle forze dell’ordine, e della magistratura.
Un’altra criticità è sicuramente legata alle scarse risorse che sono messe a disposizione per sostenere i percorsi di uscita dalla violenza. Un aspetto molto importante quando siamo di fronte  a persone che vivono in un contesto di violenza è poter offrire loro delle alternative per poterle mettere nella condizione di scegliere. Spesso, però l’alternativa è rappresentata nella maggior parte dei casi da difficoltà economiche, dalla difficoltà di trovare lavoro, di trovare un nuovo alloggio e sostenere le spese ecc. Queste difficoltà nel quotidiano rendono tutto ancora più faticoso e ostacolano il cambiamento.
Un'altra pecca del Decreto Letta è che per gli autori di reati di violenza su donne, non è previsto l’obbligo di rivolgersi a un centro per maltrattanti. Anche se di recente ho visto inserire nei provvedimenti di allontanamento l’indicazione di rivolgersi ai servizi del territorio e ai centri che lavorano con chi agisce violenza. E’ importante agire sulla figura del maltrattante, per evitare che ricommetta violenza su un'altra donna. Studi importanti dimostrano che uomini che fanno un percorso, in alta percentuale, non hanno comportamenti recidivi. La violenza è sempre una scelta, un modo per controllare la situazione, per mantenere il potere.
Ha ragione Sara: è una cosa difficile dare risposte efficaci e tutelare le vittime, perché il percorso va costruito con tanti aspetti, e vanno collegati tanti settori, con personale formato su questo ambito specifico d'intervento. I servizi risentono della mancanza di volontà politica, aggravata dall'interminabile periodo di crisi: e così chi opera in questi contesti è oberato di lavoro, c'è un problema cronico di sotto-organico e decade la motivazione: Come fai a lavorare bene, avendo la calma di valutare, facendo le scelte giuste, se non ne puoi più? Nel dirmi questo Sara si ritrae, abbassa il volto, come se ammettere di non poter reggere ritmi e pressioni eccessive, fosse una debolezza tutta sua, una colpa quella di voler essere sicuri di non sbagliare, visto che comunque si parla di storie di vita e di morte.
In Italia e nel mondo si uccidono così tante donne da aver avuto bisogno di coniare un termine linguistico dedicato: "femminicidio". Secondo Sara il problema è culturale e a volte sono gli operatori per primi a subire ancora stereotipi. C'è un problema disperato di sperequazione di potere. Da Biancaneve in giù, noi siamo figure passive, che puliscono, al servizio degli altri, madri accoglienti e pazienti che perdonano; ma non siamo perdonate.
Bisogna cambiare ottica; noi stesse, diventando più coscienti, possiamo diventare in grado di reagire prima e di alimentare meglio una formazione culturale, anche all'interno della coppia.
Dovremmo prevenire di più
In questo momento si punta molto alla sensibilizzazione, soprattutto nelle scuole; ma non basta. Tra adolescenti è purtroppo frequente che la ragazza si vesta come vuole il ragazzo, che accetti acriticamente ogni sorta d’induzione, per com’è l'immagine della donna veicolata dai media. Per loro è normale. Come per il ragazzo è normale dare un'immagine di sé virile, forte, che non piange; non esprimendo l'emotività, si sente stoico a sopportare, a non manifestare, e reprime. Ma tutto questo può esplodere a volte anche attraverso la violenza.
Ognuno di noi ha le proprie responsabilità come genitore, come insegnante, come educatore, come cittadino: la scuola è uno dei luoghi privilegiati per preparare i ragazzi ad alzare la soglia critica nei confronti di una società tanto complessa, per aiutarli a destrutturare stereotipi, in particolare di genere. Anche nelle famiglie, è importante risvegliare il senso di responsabilità educativa e soprattutto la voglia di ascoltare i propri figli in modo attivo prestando attenzione ai loro bisogni, imparando a leggere e a cogliere i loro segnali di aiuto. Non meno importante è il ruolo che giocano le associazioni sportive, che anziché addestrare i bambini fin dalla tenera età a una competizione sfrenata e fine a se stessa, possono contribuire a diffondere la cultura del rispetto dell’altro delle diversità, delle regole.
In tutti questi contesti, purtroppo a volte la violenza è tollerata, non riconosciamo più cosa è violenza e cosa non lo è;spesso per molti di noi l’offesa di un tifoso, una spinta tra bambini… sono comportamenti accettabili. Tutto ciò non aiuta a prevenirla.
La vita di Sara sostiene un carico emotivo enorme, a seguito del lavoro che svolge. Le chiedo ancora cosa è la violenza secondo lei, come potremmo imparare a riconoscerla: Una volta la nostra formatrice ci ha detto che il suo lavoro (si occupa di violenza da molti anni) la fa sentire privilegiata. Ricordo che quest’affermazione mi colpì molto soprattutto perché allora non capivo come facesse a sentirsi privilegiata. A distanza di tempo posso dire che faccio ancora un po' di fatica e la mia mente spesso è occupata dalle storie di vita delle persone che incontro ma, da quando mi occupo di violenza il mio modo di pensare e di vedere le cose è cambiato è come se il mio sguardo riuscisse ad arrivare più in là. Viviamo in un sistema basato sui giochi di potere, alimentiamo quindi un modello violento e coercitivo. La violenza, così facendo, la mettiamo da tutte le parti. E' un comportamento culturale che inevitabilmente mi riguarda.
Questo sistema ora lo vedo e scelgo di non starci. Come? Innanzitutto riconoscendo la violenza anche nelle sue forme più velate, portando con me nella mia vita di tutti i giorni il mio sapere, la mia esperienza e tutte le storie di vita che hanno contribuito al mio cambiamento.

venerdì 3 luglio 2015

E' proprio tanto sconveniente assumere una donna prima di una possibile maternità?

Come mai la aziende preferiscono evitare assunzioni di donne "in età da marito", cosa realmente temono? Le ragioni, ci dicono - in primis - sono i costi, poi la difficoltà nel trovare sostituzioni di personale valide, i problemi di riassegnazione del lavoro al rientro dalla maternità, eccetera.

Sono solo pregiudizi o realtà? La prima obiezione riguarda i costi, cerchiamo di capire allora quanto costa una donna che va in maternità.
L'attuale normativa italiana prevede l'astensione obbligatoria dal lavoro per un totale di 5 mesi, 2 mesi prima del parto e 3 successivi. Può essere più lunga in ragione di complicanze nella gestazione o di condizioni lavorative pregiudizievoli per la salute della donna. Inoltre può essere prorogata fino a 7 mesi dopo il parto se la lavoratrice è addetta a lavori pericolosi o insalubri e non possa essere spostata verso mansioni diverse.
Esiste anche un periodo di astensione facoltativa, retribuita in maniera diversa dalla precedente, per cui per ogni figlio ed entro gli 8 anni d'età, spetta un ulteriore periodo di non lavoro pari a 6 mesi per ciascun genitore lavoratore.
Secondo le nuove disposizioni del Jobs Act, il periodo in cui sarà possibile accedere a questa opzione sarà allungato fino ai 12 anni di età del bambino.
Per quanto riguarda l'Indennità di Maternità, si compone di 2 parti, una a carico dell'INPS e una a carico del datore di lavoro.

Se l'astensione è obbligatoria l'INPS, attraverso il datore di lavoro, corrisponde l'80% della cd. Retribuzione Media Giornaliera mentre se è facoltativa corrisponde il 30%.
Invece, il datore paga le festività del periodo agli operai oppure le festività cadenti di domenica agli impiegati.
Inoltre, il CCNL di riferimento può disporre che a quello che è corrisposto dall'INPS sia sommata una parte data dal datore di lavoro che può far raggiungere il 100% della retribuzione normale.

In caso di astensione facoltativa il datore di lavoro non integra niente oltre quello che deve corrispondere per legge.
Importante è poi ricordare che esistono delle agevolazioni per le assunzioni in sostituzione di maternità; infatti, il datore di lavoro che assume una persona per sostituire la persona assente per maternità risparmia, rispetto ai costi ordinari, il 50% dei contributi a proprio carico.
Alla luce di questi dati, possiamo dire che almeno dal punto di vista dei costi non sia insormontabile la "spesa" che deve sostenere il datore di lavoro, per cui a mio avviso appare ingiustificato addurre questo argomento per escludere sin dalle fasi selettive candidate donne tra i 25 e i 35 anni di età solo perchè si guarda la questione da una prospettiva sbagliata, senza considerare invece quanto apporto positivo potrebbe portare una candidata sia prima che dopo la maternità, come molte statistiche ormai dimostrano.
Un'ulteriore considerazione amara, è che specialmente nelle piccole aziende, può essere effettivamente un problema sostenere costi (e sostituzioni provvisorie con le relative difficoltà di formazione). Considerato che proprio sulle donne lo Stato scarica una grandissima parte delle sue carenze di welfare, a maggior ragione riguardo alle difficoltà che nascono per le assenze di maternità dovrebbe elevare la sua partecipazione in termini di sostegno alle piccole imprese. Tutti si lamentano delle culle vuote, ma non si speri che si riempiano, se non si mette mano a questi problemi.

mercoledì 1 luglio 2015

Le troppe Italie. E le tante donne in cammino

di SIimonetta Ottone • Quando si dice Milano. Il Gusto delle Artiterapie, programma di iniziative svoltesi in una quattro giorni senza soste (dal 25 al 28 Giugno), in occasione di ExpoincittàTu, ha visto la cooperazione di almeno sette enti nazionali privati impegnati nelle artiterapie, 120 iniziative dislocate in quasi dieci strutture pubbliche, svariate realtà del privato sociale in partecipazione attiva, centinaia di persone che hanno avuto accesso gratuito a esperienze di educazione all'arte, alla cultura, alla Salute, di qualità alta e certificata, grazie al lavoro volontario e gratuito dei professionisti coinvolti. Una moltitudine umana, variegata e collegata, nel centro di una Milano storica e a dimensione umana.
Un mare di donne che lavorano insieme.
E  il Comune di Milano (Zona 1), il cui Presidente trova parole utili a valorizzare questa vitalità che mette in rapporto e genera salute e gioia. Capacità di reagire, insieme alle Istituzioni.
Poi torni qua.
Nella testa ti girano domande come ritornelli: perché non riusciamo anche noi a progettare insieme, a cooperare, a investire in un programma comune, a nutrire fiducia e curiosità, senso di confronto all'interno di un codice etico di comportamento comune e condiviso?
Allora ti guardi intorno, e proprio vicino a te vedi ad esempio che la locale Istituzione comunale per la cultura ha lo stesso Direttore Artistico dal 1997, che in quasi 20 anni è stato messo in grado di ricoprire contemporaneamente più incarichi di vertice nella cultura di tutta la provincia. Strutture e soldi pubblici per prosperare e per, nonostante tutto, tenere chiusa per buona parte dell'anno la locale Sala Spettacolo per "mancanza di fondi": un intero territorio di quasi due decine di migliaia di abitanti  deprivato di Cultura. Le Associazioni locali, infatti, non potendo accedere all'unica  Sala gestita sempre dall'eterno Direttore, non hanno né interlocutori, né strutture dove svolgere le loro attività a costi "sociali".
Poi guardi meglio e vedi che proprio il figlio dell' Assessore alla Cultura della medesima amministrazione lavora proprio lì. Abbiamo capito bene: la persona che ricopre il duplice mandato di Assessore e di Presidente dell'Istituzione Comunale include nei progetti da essa stessa valutati promossi e finanziati da soldi pubblici in strutture pubbliche, il proprio figlio. In Toscana, nel 2015.
Ma l'italietta che supera anche quella rappresentata nei film di Alberto Sordi, ci riserva incredulità a piene mani. La vera chicca di questo quadro tirrenico, è il Sindaco che fa aprire quella sala sempre chiusa e la dà (evidentemente la considera "roba" sua) alla fidanzata che ci presenterà uno spettacolo d'intrattenimento amatoriale, oltretutto a pagamento.
Tutti applaudono, Giunta e Consiglio Comunale compresi, e il piccolo Comune è finalmente felice. Diciamo: non credo che tutto questo potrebbe succedere con tutta questa naturalezza e becera approvazione laddove c'è vigilanza, presenza e partecipazione di cittadini e operatori di settore, a più livelli. 
In questo squallore, purtroppo, uomini e donne si uniformano, livellandosi al basso. E il populismo trionfa.
Non poteva che essere così, avendo come guida e esempio una classe "dirigente" in preda non solo a un inimmaginabile analfabetismo politico, ma completamente sprovvista del più elementare senso civico.
E allora sì: per 20 anni il conflitto d'interesse nel paese ce l'ha avuto solo uno, perché così molti italiani si sentivano autorizzati a agire, anche nel piccolo dove tutti ti vedono, in conclamato conflitto d'interesse, perché come dicono al bar prima di andare al mare (attività che richiede il full time da queste parti) "Questa è la politica, bimba mia! O ci stai, o non ci stai!". Si parla della politica di provincia, che porta all'asfissia il pluralismo culturale, a piangere miseria al nord o a chi si impegna per procedere "dritto e spedito", la politica dei "rottamatori se conviene" e di quelli che se ne vanno.
Quella in cui trionfa l'individualismo e il personale si nasconde sotto al politico, a fini utilitaristici, quella dove "mors tua vita mea: ora tocca a me, mi prendo tutto io".
Roba che divide i luoghi in predatori e predati, in furbi e fessi, in vincenti e perdenti. E genera sfaldamento sociale, cinismo e odio. Un odio così arcaico, di tutti per tutti, così vecchio, così putrescente, così machista. Così fallimentare.
Dunque un motivo in più, nonostante tutto, per reagire, per guardare lontano e provare ad accorciare le distanze che, prima di tutto, sono mentali.
E questo lo sanno bene le donne, queste professioniste che in un caldo fine settimana estivo hanno lasciato tutto, hanno preso i bagagli e sono andate a Milano, solo per confrontarsi con altre realtà, e scambiarsi metodi, opportunità, idee.