venerdì 3 luglio 2015

E' proprio tanto sconveniente assumere una donna prima di una possibile maternità?

Come mai la aziende preferiscono evitare assunzioni di donne "in età da marito", cosa realmente temono? Le ragioni, ci dicono - in primis - sono i costi, poi la difficoltà nel trovare sostituzioni di personale valide, i problemi di riassegnazione del lavoro al rientro dalla maternità, eccetera.

Sono solo pregiudizi o realtà? La prima obiezione riguarda i costi, cerchiamo di capire allora quanto costa una donna che va in maternità.
L'attuale normativa italiana prevede l'astensione obbligatoria dal lavoro per un totale di 5 mesi, 2 mesi prima del parto e 3 successivi. Può essere più lunga in ragione di complicanze nella gestazione o di condizioni lavorative pregiudizievoli per la salute della donna. Inoltre può essere prorogata fino a 7 mesi dopo il parto se la lavoratrice è addetta a lavori pericolosi o insalubri e non possa essere spostata verso mansioni diverse.
Esiste anche un periodo di astensione facoltativa, retribuita in maniera diversa dalla precedente, per cui per ogni figlio ed entro gli 8 anni d'età, spetta un ulteriore periodo di non lavoro pari a 6 mesi per ciascun genitore lavoratore.
Secondo le nuove disposizioni del Jobs Act, il periodo in cui sarà possibile accedere a questa opzione sarà allungato fino ai 12 anni di età del bambino.
Per quanto riguarda l'Indennità di Maternità, si compone di 2 parti, una a carico dell'INPS e una a carico del datore di lavoro.

Se l'astensione è obbligatoria l'INPS, attraverso il datore di lavoro, corrisponde l'80% della cd. Retribuzione Media Giornaliera mentre se è facoltativa corrisponde il 30%.
Invece, il datore paga le festività del periodo agli operai oppure le festività cadenti di domenica agli impiegati.
Inoltre, il CCNL di riferimento può disporre che a quello che è corrisposto dall'INPS sia sommata una parte data dal datore di lavoro che può far raggiungere il 100% della retribuzione normale.

In caso di astensione facoltativa il datore di lavoro non integra niente oltre quello che deve corrispondere per legge.
Importante è poi ricordare che esistono delle agevolazioni per le assunzioni in sostituzione di maternità; infatti, il datore di lavoro che assume una persona per sostituire la persona assente per maternità risparmia, rispetto ai costi ordinari, il 50% dei contributi a proprio carico.
Alla luce di questi dati, possiamo dire che almeno dal punto di vista dei costi non sia insormontabile la "spesa" che deve sostenere il datore di lavoro, per cui a mio avviso appare ingiustificato addurre questo argomento per escludere sin dalle fasi selettive candidate donne tra i 25 e i 35 anni di età solo perchè si guarda la questione da una prospettiva sbagliata, senza considerare invece quanto apporto positivo potrebbe portare una candidata sia prima che dopo la maternità, come molte statistiche ormai dimostrano.
Un'ulteriore considerazione amara, è che specialmente nelle piccole aziende, può essere effettivamente un problema sostenere costi (e sostituzioni provvisorie con le relative difficoltà di formazione). Considerato che proprio sulle donne lo Stato scarica una grandissima parte delle sue carenze di welfare, a maggior ragione riguardo alle difficoltà che nascono per le assenze di maternità dovrebbe elevare la sua partecipazione in termini di sostegno alle piccole imprese. Tutti si lamentano delle culle vuote, ma non si speri che si riempiano, se non si mette mano a questi problemi.

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