Sono solo pregiudizi o
realtà? La prima obiezione riguarda i
costi, cerchiamo di capire allora quanto costa una donna che va in maternità.
L'attuale normativa italiana
prevede l'astensione
obbligatoria dal lavoro per un totale di 5 mesi, 2 mesi prima del
parto e 3 successivi. Può essere più lunga in ragione di complicanze nella
gestazione o di condizioni lavorative pregiudizievoli per la salute della
donna. Inoltre può essere prorogata fino a 7 mesi dopo il parto se la
lavoratrice è addetta a lavori pericolosi o insalubri e non possa essere
spostata verso mansioni diverse.
Esiste anche un periodo di astensione facoltativa, retribuita in maniera diversa dalla
precedente, per cui per ogni figlio ed entro gli 8 anni d'età, spetta un
ulteriore periodo di non lavoro pari a 6 mesi per ciascun genitore lavoratore.
Secondo le nuove
disposizioni del Jobs Act, il periodo in cui sarà possibile accedere a questa opzione sarà allungato fino ai 12 anni di età del
bambino.
Per quanto riguarda l'Indennità di Maternità, si compone di 2 parti, una a
carico dell'INPS e una a carico del datore di lavoro.
Se l'astensione è obbligatoria l'INPS, attraverso il
datore di lavoro, corrisponde l'80% della cd. Retribuzione Media Giornaliera
mentre se è facoltativa corrisponde il 30%.
Invece, il datore paga le festività del periodo agli operai oppure
le festività cadenti di domenica agli impiegati.
Inoltre, il CCNL di riferimento può disporre che a
quello che è corrisposto dall'INPS sia sommata una parte data dal datore di
lavoro che può far raggiungere il 100% della retribuzione normale.
In caso di astensione facoltativa il datore di lavoro
non integra niente oltre quello che deve corrispondere per legge.
Importante è poi ricordare che esistono delle agevolazioni per le assunzioni in
sostituzione di maternità; infatti, il datore di
lavoro che assume una persona per sostituire la persona assente per maternità
risparmia, rispetto ai costi ordinari, il 50% dei contributi a proprio carico.
Alla luce di
questi dati, possiamo dire che almeno dal punto di vista dei costi non sia
insormontabile la "spesa" che deve sostenere il datore di lavoro, per
cui a mio avviso appare ingiustificato addurre questo argomento per escludere
sin dalle fasi selettive candidate donne tra i 25 e i 35 anni di età solo
perchè si guarda la questione da una prospettiva sbagliata, senza considerare
invece quanto apporto positivo potrebbe portare una candidata sia prima che
dopo la maternità, come molte statistiche ormai dimostrano.
Un'ulteriore considerazione amara, è che specialmente nelle piccole aziende, può essere effettivamente un problema sostenere costi (e sostituzioni provvisorie con le relative difficoltà di formazione). Considerato che proprio sulle donne lo Stato scarica una grandissima parte delle sue carenze di welfare, a maggior ragione riguardo alle difficoltà che nascono per le assenze di maternità dovrebbe elevare la sua partecipazione in termini di sostegno alle piccole imprese. Tutti si lamentano delle culle vuote, ma non si speri che si riempiano, se non si mette mano a questi problemi.
Un'ulteriore considerazione amara, è che specialmente nelle piccole aziende, può essere effettivamente un problema sostenere costi (e sostituzioni provvisorie con le relative difficoltà di formazione). Considerato che proprio sulle donne lo Stato scarica una grandissima parte delle sue carenze di welfare, a maggior ragione riguardo alle difficoltà che nascono per le assenze di maternità dovrebbe elevare la sua partecipazione in termini di sostegno alle piccole imprese. Tutti si lamentano delle culle vuote, ma non si speri che si riempiano, se non si mette mano a questi problemi.
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