venerdì 24 luglio 2015

Biancaneve, il potere e il femminicidio. E chi tenta di prevenirlo, ma senza mezzi

di Simonetta Ottone • Dopo l'assoluzione per lo stupro di gruppo della Fortezza da Basso, la ragazza che denunciò scrive e diffonde una toccante letteraLoro giustificati, lei biasimata. 

Eppure ci sono referti medici e prove che attestano la subita aggressione e le modalità riportate nella denuncia. Ma la sentenza sembra archiviare la possibilità, per chi denuncia, di ricevere un trattamento "in scienza e coscienza", come amano definire i Giudici il proprio lavoro.
Mi domando cosa sia veramente la violenza, perché si rafforzi con una cultura giuridica che rasenta l'inflittivo per le vittime, perché non si riesca a difenderle degnamente, non si solidarizzi almeno il dovuto, con loro.
Mi torna in mente Sara, e il suo lavoro a tutto campo nella violenza: una donna magra, lunga, delicata, occhi scuri e timidi, dietro i grandi occhiali. Ha  lavorato in un Comune della costa tirrenica su più aree del disagio; inizia a occuparsi di violenza di genere quando in zona si costituiscono la rete antiviolenza e in seguito il codice rosa. 
Si costruisce giorno dopo giorno il lavoro in rete con Procura, Forze dell'Ordine, Ospedale, avvengono grossi cambiamenti.
Parlammo a lungo, un bel pomeriggio di qualche tempo fa. Mi parlò del Decreto Letta con queste parole: Questa Legge ha introdotto cose importanti:  è previsto l’arresto della persona maltrattante colta in flagranza (difficile che avvenga però!), e l’allontanamento d’urgenza dalla casa  familiare di chi ha agito violenza, un inasprimento delle pene, delle aggravanti ad esempio in caso di violenza assistita o se a subire una violenza è una donna in  gravidanza. E ancora la possibilità del gratuito patrocinio, la possibilità di mantenere segreta l’identità di chi fa una segnalazione.
Credo sia importante che la persona che fa querela lo faccia in modo consapevole, non vada spinta. Questa decisione deve scaturire da una maturazione profonda. Solo così si riducono le possibilità che la vittima ritorni sui suoi passi; nel corso della mia esperienza ho incontrato donne che hanno cambiato idea che hanno deciso di tornare con il proprio partner anche a fronte di un provvedimento di allontanamento dalla casa familiare della persona maltrattante. In questo senso, compito dei servizi è accompagnare la vittima in questo difficile percorso di uscita dalla violenza rispettando i suoi tempi interiori e soprattutto potenziando il suo senso di autostima e valorizzando le sue risorse personali che spesso dimentica di avere. Solo nel momento in cui si sente più sicura di sé, solo nel momento in cui riconosce e dà voce al proprio valore, solo allora può uscire dalla confusione in cui è immersa, vedere la realtà con più lucidità e iniziare a intravedere possibili alternative a una vita fatta di relazioni violente.
Un’altra difficoltà che spesso incontriamo è legata a situazioni dove i reati che si configurano sono perseguibili d’ufficio. In questi casi noi operatori del servizio pubblico abbiamo l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria. Non sempre in questi casi è facile prendere una decisione soprattutto se la vittima che abbiamo di fronte non è pronta a sostenere tutto ciò che può comportare una denuncia o se quella scelta di cui parlavo sopra non è ancora stata maturata dentro di sé. La mia risposta per affrontare tale difficoltà è la condivisione con il gruppo di lavoro costituito da tutti gli operatori coinvolti su quella specifica situazione che possono essere ad esempio psicologi/ghe interni all’asl o delle associazioni presenti sul territorio medici specialisti, referenti delle forze dell’ordine, e della magistratura.
Un’altra criticità è sicuramente legata alle scarse risorse che sono messe a disposizione per sostenere i percorsi di uscita dalla violenza. Un aspetto molto importante quando siamo di fronte  a persone che vivono in un contesto di violenza è poter offrire loro delle alternative per poterle mettere nella condizione di scegliere. Spesso, però l’alternativa è rappresentata nella maggior parte dei casi da difficoltà economiche, dalla difficoltà di trovare lavoro, di trovare un nuovo alloggio e sostenere le spese ecc. Queste difficoltà nel quotidiano rendono tutto ancora più faticoso e ostacolano il cambiamento.
Un'altra pecca del Decreto Letta è che per gli autori di reati di violenza su donne, non è previsto l’obbligo di rivolgersi a un centro per maltrattanti. Anche se di recente ho visto inserire nei provvedimenti di allontanamento l’indicazione di rivolgersi ai servizi del territorio e ai centri che lavorano con chi agisce violenza. E’ importante agire sulla figura del maltrattante, per evitare che ricommetta violenza su un'altra donna. Studi importanti dimostrano che uomini che fanno un percorso, in alta percentuale, non hanno comportamenti recidivi. La violenza è sempre una scelta, un modo per controllare la situazione, per mantenere il potere.
Ha ragione Sara: è una cosa difficile dare risposte efficaci e tutelare le vittime, perché il percorso va costruito con tanti aspetti, e vanno collegati tanti settori, con personale formato su questo ambito specifico d'intervento. I servizi risentono della mancanza di volontà politica, aggravata dall'interminabile periodo di crisi: e così chi opera in questi contesti è oberato di lavoro, c'è un problema cronico di sotto-organico e decade la motivazione: Come fai a lavorare bene, avendo la calma di valutare, facendo le scelte giuste, se non ne puoi più? Nel dirmi questo Sara si ritrae, abbassa il volto, come se ammettere di non poter reggere ritmi e pressioni eccessive, fosse una debolezza tutta sua, una colpa quella di voler essere sicuri di non sbagliare, visto che comunque si parla di storie di vita e di morte.
In Italia e nel mondo si uccidono così tante donne da aver avuto bisogno di coniare un termine linguistico dedicato: "femminicidio". Secondo Sara il problema è culturale e a volte sono gli operatori per primi a subire ancora stereotipi. C'è un problema disperato di sperequazione di potere. Da Biancaneve in giù, noi siamo figure passive, che puliscono, al servizio degli altri, madri accoglienti e pazienti che perdonano; ma non siamo perdonate.
Bisogna cambiare ottica; noi stesse, diventando più coscienti, possiamo diventare in grado di reagire prima e di alimentare meglio una formazione culturale, anche all'interno della coppia.
Dovremmo prevenire di più
In questo momento si punta molto alla sensibilizzazione, soprattutto nelle scuole; ma non basta. Tra adolescenti è purtroppo frequente che la ragazza si vesta come vuole il ragazzo, che accetti acriticamente ogni sorta d’induzione, per com’è l'immagine della donna veicolata dai media. Per loro è normale. Come per il ragazzo è normale dare un'immagine di sé virile, forte, che non piange; non esprimendo l'emotività, si sente stoico a sopportare, a non manifestare, e reprime. Ma tutto questo può esplodere a volte anche attraverso la violenza.
Ognuno di noi ha le proprie responsabilità come genitore, come insegnante, come educatore, come cittadino: la scuola è uno dei luoghi privilegiati per preparare i ragazzi ad alzare la soglia critica nei confronti di una società tanto complessa, per aiutarli a destrutturare stereotipi, in particolare di genere. Anche nelle famiglie, è importante risvegliare il senso di responsabilità educativa e soprattutto la voglia di ascoltare i propri figli in modo attivo prestando attenzione ai loro bisogni, imparando a leggere e a cogliere i loro segnali di aiuto. Non meno importante è il ruolo che giocano le associazioni sportive, che anziché addestrare i bambini fin dalla tenera età a una competizione sfrenata e fine a se stessa, possono contribuire a diffondere la cultura del rispetto dell’altro delle diversità, delle regole.
In tutti questi contesti, purtroppo a volte la violenza è tollerata, non riconosciamo più cosa è violenza e cosa non lo è;spesso per molti di noi l’offesa di un tifoso, una spinta tra bambini… sono comportamenti accettabili. Tutto ciò non aiuta a prevenirla.
La vita di Sara sostiene un carico emotivo enorme, a seguito del lavoro che svolge. Le chiedo ancora cosa è la violenza secondo lei, come potremmo imparare a riconoscerla: Una volta la nostra formatrice ci ha detto che il suo lavoro (si occupa di violenza da molti anni) la fa sentire privilegiata. Ricordo che quest’affermazione mi colpì molto soprattutto perché allora non capivo come facesse a sentirsi privilegiata. A distanza di tempo posso dire che faccio ancora un po' di fatica e la mia mente spesso è occupata dalle storie di vita delle persone che incontro ma, da quando mi occupo di violenza il mio modo di pensare e di vedere le cose è cambiato è come se il mio sguardo riuscisse ad arrivare più in là. Viviamo in un sistema basato sui giochi di potere, alimentiamo quindi un modello violento e coercitivo. La violenza, così facendo, la mettiamo da tutte le parti. E' un comportamento culturale che inevitabilmente mi riguarda.
Questo sistema ora lo vedo e scelgo di non starci. Come? Innanzitutto riconoscendo la violenza anche nelle sue forme più velate, portando con me nella mia vita di tutti i giorni il mio sapere, la mia esperienza e tutte le storie di vita che hanno contribuito al mio cambiamento.

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