sabato 28 marzo 2015

Maria Fux, la danza come terapia. Intervista a Enrica Ignesti

di Simonetta OttoneMi trovo in un antico borgo del centro di Firenze. Entro in questo portone elegante, con archi, anfratti e ferro battuto; sono in una delle scuole di danza più storiche della Toscana. Fu qui che Maria Fux, pioniera della Danzaterapia nel mondo, mise le sue radici italiane. 
Enrica Ignesti, oggi direttrice di questo centro, mi riceve tra costumi di scena e carte, mentre una musica senza tempo di pianoforte accompagna la lezione di danza nella sala accanto.
Mi guarda attenta, come dovesse compiere un movimento preciso e veloce. Inizio chiedendole di parlarmi di lei.
Maria Fux, classe 1922, danzatrice e coreografa, protagonista dal 1954 di tournée di successo negli Stati Uniti, in Polonia, in U.R.S.S., Perù, Brasile ed Uruguay, dal 1960 al 1965 ha diretto il Seminario di Danza all'Università Nazionale di Buenos Aires. Nel 1968 presenta per la prima volta una relazione sul tema la danza come terapia al Congresso Internazionale di Musicoterapia tenutosi a Buenos Aires. Sviluppando i propri studi e ricerche interviene con un proprio originale contributo sull'importanza della danza come mezzo educativo ed espressivo per audiolesi. Maria Fux diventa un riferimento di grandissimo rilievo in Italia, in Europa e nelle Americhe, svolgendo annualmente attività di formazione e supervisione fino a 5 anni fa. Nel 1978  nasce una stretta collaborazione con Lilia Bertelli, fondatrice di questa Scuola, che porta a costituire in Italia la "Scuola di Formazione in Danza Terapia", con sede a Firenze; da allora ha svolto una intensa attività didattica in numerose città di Italia con seminari e corsi di formazione.
• Come ci sei entrata in contatto?
Nel 1995 ho iniziato la formazione in danzamovimentoterapia del Centro Toscano Arte e Danza Terapia diretto da Lilia Bertelli in Firenze, oggi accreditata dall’Associazione Professionale DanzaMovimentoTerapia Italiana (APID). Ho conosciuto Maria in qualità di  Direttrice di Formazione del Centro fiorentino. Poi nel 1999 dopo aver conseguito il diploma in DanzaMovimentoTerapia ho iniziato a collaborare con Lilia Bertelli come sua assistente e quindi assistente di Maria quando il Centro fiorentino la ospitava. Nel 2000 Maria Fux mi ha assegnato una borsa di studio per 3 mesi nel suo Centro in Buenos Aires dove ho avuto la possibilità di essere ospitata nella sua casa. Nel 2005 ho ripetuto l’esperienza. Dal 1995 ad ancora oggi Maria supervisiona il mio lavoro costantemente.
• Cosa ti colpisce di lei? In cosa è una Maestra?
Ogni gran Maestro lascia un’impronta nei suoi allievi. La parola che meglio esprime l’impronta che Maria ha lasciato e continua a lasciare dentro di me è Arte. Arte che mi ha fatto crescere, che mi ha esortato a diventare una professionista della danzaterapia.
Maria Fux è stata ed è il mio ponte con l’Arte. Arte vissuta in prima persona come processo creativo che si trasforma grazie alla danza. Danza come poesia del movimento spogliata dal suo aspetto utilitaristico, danza espressiva che ha un significato profondo in relazione al mio mondo, danza simbolica. Altri maestri mi hanno mostrato differenti metodologie di danzaterapia, però Maria mi ha mostrato l’arte. Il mio sguardo si posa nel suo essere geniale e neutrale al tempo stesso: lei ha aperto le porte nella danzaterapia. Allo stesso tempo è come tutte noi: non esprime giudizi, guarda le cose come sono, all’interno del limite in cui si trovano, convivendo con la sua propria ombra. Maria dà valore al presente come unico e primo momento dell’esistenza.
• Che idea di danza ha?
La sua metodologia fruisce dell'energia, del peso, della forma, del colore, dello spazio e del tempo. La Fux piega il simbolismo del gesto all'esigenza terapeutica. Essenziale è il gruppo: nel suo grembo si sviluppano sia il limite che le potenzialità dell'incontro dell'altro da sé anche per i danzatori svantaggiati. Il divenire è l'elemento fondante la danzaterapia, il cambiamento eracliteo del tutto scorre, crea energia e miglioramento. Il sentirsi meglio come prodotto della danzaterapia è immune alle interpretazioni: avviene, accade, appare. Maria supera l'intellettualismo statico per fornire risposte concrete ed immediate al bisogno di armonia e nuova vita.
• Cosa ti aspetti dal film documentario recentemente uscito sulla Fux, dal titolo "Dancing with Maria"? (regia di Ivan Gergolet). L'11 Aprile, in occasione del decennale della scomparsa di Lilia Bertelli, ne organizzerete la proiezione qua a Firenze, allo Spazio Alfieri. 
Tempo fa un’altra mia Maestra, Paola de Vera d’Aragona, mi ha parlato di Maria con queste parole: Maria Fux è un prezioso talento che l’Universo ci ha donato… E' proprio questo che mi aspetto dal film; quel che si vede alla conclusione del trailer: la grande strada sotto alla Scuola  di  Maria in Buenos Aires, che viene lentamente invasa da danzatori, arrivati da ogni parte del mondo… qualcosa in cui sembra non esistano più confini né spazi, tutti diventano particelle di un universo infinito, un'umanità in movimento dove tutto è danza.
• Negli incontri di danza di Maria ballano insieme persone di ogni condizione ed estrazione sociale, uomini e donne con malattie fisiche e mentali, o semplicemente con il desiderio di scoprire sé stessi e gli altri. Maria, attraverso la danza e la musica, ha trasformato i limiti di ognuno in risorse. Che tipo di donna è? e trovi che nella danza le donne siano in una posizione subalterna?
Danza, sostantivo femminile. Maria è una donna molto forte e fragile insieme; una persona che ama e che non si risparmia, che sa mettersi al servizio dell'altro, trovando in questo un grosso motivo d'ispirazione. Credo che la danza sia una delle poche situazioni in cui la donna non è subalterna.
• Che spazio ha attualmente la danza in Italia?
La danza vive un momento di grossa difficoltà… ma è difficile in questo momento non pensare a come lo sia anche l’Italia: la danza è lo specchio del nostro paese.

sabato 14 marzo 2015

Ilaria Alpi, 21 anni dopo

20 Marzo 1994 - 20 Marzo 2015. Ilaria Alpi. A voce alta.
1400 miliardi di lire. Dove è finita questa impressionante mole di denaro?

Ilaria scrive, è grafomane. Domanda, prende dati, scarabocchia nomi. Sguardi obliqui strisciano su quella carta, pochi appunti di quei tre taccuini tornati a casa. Dove sono gli altri due? E la sua inseparabile macchina fotografica, i rullini, tutte le videocassette? Mi hai chiamato, mi è rimasta la tua voce nel telefono. Ma dopo, in quelle due ore e mezzo, chi ti ha preso? Lei voleva essere al centro del fatto, il cameraman lo voleva sempre appresso a sé. Non ti avrebbe mai portato, Miran, operatore free lance, lancia libera, lanciata nel vuoto. Se avesse immaginato.  
Ma sul posto ci sei o non ci sei, poche storie, un' immagine non te la puoi mica inventare! Io la voglio vera! Mi spiegava, accarezzandomi con il verde ostinato dei suoi occhi. Smetteva di parlare, si accigliava, pensava. Pensava sempre, quella ragazza. Dobbiamo mostrare la gente, papà, la loro vita distrutta nel loro paese distrutto. Pattumiera Somalia nel mattatoio Somalia! A questo serviamo. Sorrido dentro me: questa donna di 32 anni è mia figliaDobbiamo stare in strada, batterla, verificare le notizie e scaraventarle in faccia di chi mente. E' il nostro mestiere. Io voglio fare perbene il mio lavoro. Solo questo.  Il servizio deve essere breve, senza enfasi, dico sempre di non inquadrare me, ma solo gli intervistati. "Sì, ma fatti riprendere un po', così vediamo come stai!".
Ilaria, il servizio pronto per essere riversato a Roma, dove è finito? Ilaria non scherzare: l'Africa è un grande affare per tutti. A noi occidentali serve una discarica di materiali tossici! Lo sai, come vanno le cose... e l'infibulazione è una pratica millenaria, Ilaria, le donne laggiù devono ribellarsi! Non siamo noi responsabili dell'Africa, di tutto quel nero che c'è! Poi sei una donna di mondo e al bar ora mi ordini solo un'acqua tonica? Sei sempre tu, Ilaria!
Ilaria, almeno stamani, fai colazione con me.
Non mi sorridere più, da quella foto sul mio comodino. Abbiamo fatto tutto per quel sorriso, brandelli di cuore ci sono rimasti. Non abbiamo più spazio per respirare. Soffochiamo, come la tua verità. Stasera io e la mamma ci metteremo sul tuo letto, tu scenderai e ci abbraccerai come facevi da piccola e dormiremo, dormiremo, in un pezzo di strada di questo paese. Questo paese, che ci ha odiato così tanto.
Simonetta Ottone

domenica 8 marzo 2015

Il teatro come rivoluzione

di Simonetta Ottone
Michela Lucenti, una donna piccola, veloce, con lineamenti indio - è alla guida dal 2003 di Balletto Civile, Formazione di Teatro Fisico d'Arte tra le più interessanti in Italia, e richiestissima in Europa. 
Formata come attrice da un Teatro Stabile, ha capito che la danza, che aveva praticato ben presto, era forse ciò di cui aveva bisogno un teatro più credibile. Inizia una sua personale ricerca volta alla contaminazione, al superamento dei generi stessi. Non a caso, la prima Compagnia che fonderà con Alessandro Berti fin dai primi anni '90, si chiamerà "Impasto". Ma non basta. Michela inizia una sua lotta, alla ricerca di luoghi, temi, metodi che possano nutrire il suo mandato di artista: vita nomade e  piena immersione nella realtà del suo tempo. Questo è il teatro, secondo Michela, e questo è ciò che fa ogni giorno, ormai da almeno due decenni, per restituire all'arte dello spettacolo dal vivo, una missione forte e dirompente. Etica. Così sono i suoi spettacoli, dove la voracità di corpi in movimento diventa la voracità di vivere, di sapere, di riempire vuoti, grandi. Azioni che nascono da mancanze e che solo fuggevolmente le colmano, anche se quando succede, succede la bellezza. Che non è solo eleganza, moderazione, ma è verità. Senza mezze misure.
L'ho incontrata dopo uno spettacolo - IN-ERME, presentato a Firenze - che parla di madri che vorrebbero avvolgere e portare via dalla guerra, da tutte le guerre, i loro figli. Uno spettacolo dove si parla di piccoli piedi, di fratelli che partono, della voglia delle donne di non farli andare, di uomini dalla voce di ragazzo con movimenti fluttuanti e pieni di dolcezza.
Michela, come nasce questo spettacolo, IN - ERME?
Il progetto nacque con il Festival Oriente Occidente: la prima guerra mondiale, dal punto di vista dei civili, testimoni loro malgrado, gente comune o oligarchi industriali che la devono finanziare. Il novecento è un secolo che non ha mai avuto pace. IN - ERME non è una commemorazione, è più la voglia di fare i conti con una storia recente straripante di guerra.
Nei tuoi spettacoli c'è il corpo, con il movimento, la parola, la musica. Un impianto composito tra lavoro attoriale, danza, movimento, testo, musica, scenografie, luci, che aggancia lo spettatore su  più livelli. Come definiresti ciò che fai?
Noi narriamo storie attraverso azioni; nel nostro teatro fisico i corpi sono una testimonianza di oggi, del 2015, no degli anni '80 o '90, perché siamo diversi rispetto a allora. Agli attori e  danzatori con cui lavoro chiedo ogni giorno di allenarsi, ma anche di leggere il giornale. C'è bisogno di un'arte forte, per resistere a un paese in declino. Ci vogliono corpi pronti, generosi al sacrificio della disfatta. Essere vigili, coscienti di cosa stiamo facendo, è la nostra necessità di ripartire, anche dalla disfatta.
Balletto Civile è un Collettivo nomade di performers. Che vuol dire?
Il nostro gruppo si basa su un meccanismo comunitario, sono interessata alla politica dei processi. Ci sono i fondatori, un nucleo stabile, e chi collabora. I giovani entrano in contatto con noi con la Formazione, poi alcuni entrano "a bottega" con noi e cerchiamo di farli crescere, già inseriti in un contesto di lavoro. Con la crisi fortissima nel nostro settore, a cosa serve altrimenti in Italia formare performers che saranno sicuramente dei disoccupati? In questo modo il nostro non è solo un progetto di lavoro, ma è un progetto umano. E ovunque vada, prendo lavoratori del posto, ma mi porto dietro i miei e non prendo, per la mia direzione, uno stipendio più alto degli altri. Il nostro obiettivo principale, è quello di mantenere in vita e con un'attività lavorativa continua una compagnia di 19 performers. Tra le realtà indipendenti, è un'esperienza unica e straordinaria nel panorama del teatro e della danza in Italia, considerato il numero di persone coinvolte nel progetto.
Quali sono le donne che  ti hanno più ispirata?
Mi interessa il lavoro sulla voce, quindi Patti Smith, Amanda Galas: sono donne che hanno rivoluzionato la scena. Adriana Cavarero è la donna che ha parlato di "Orrorismo", che ha riflettuto sulla guerra a partire dai civili, è stata quel riverbero forte che ha dato l'avvio alla scrittura dello spettacolo, a cura di Alessandro Berti. Poi è venuta a vederci e mi ha detto: - ho trovato ciò che avevo scritto. E' il momento in cui le donne devono parlare, e questa sera ho avuto speranza che si cominciasse a farlo.
Cosa pensi della parità tra donne e uomini?
Non c'è parità, gli uomini non la contemplano e le donne dovrebbero stare sveglie e reattive in ogni ambito. E più si sale, più aumenta questa tendenza: quando vado in grandi teatri e mi presento, mi dicono "bene, ma quando viene il regista?" Per loro al massimo posso essere un'assistente. A volte, anche all'estero. Il potere è di chi tiene i fili. Dimmi quale uomo terrebbe riunita tutta questa gente, se non a fronte di una grossa cifra? La donna ha il potere dell'aggregazione: io uso una forza, in quanto Direttrice, ma anche l'accoglienza, saper fare da collante per rimanere insieme. Il futuro del femminismo sarà accettare e valorizzare le differenze tra i generi.
Chi è stato importante per te, in cultura? Cosa vedi oggi nel Teatro e nella Danza in Italia e in Europa?
Per me è importante chi ha un potere rivoluzionario, Pasolini. Antonio Latella, Emma Dante, Valerio Binasco sono artisti che ottengono qualcosa in un solco di diversità. La Danza la trovo fragilissima, da noi: non c'è altrettanta rivoluzione in Italia, all'estero sì. Penso che non dobbiamo avere paura di solcare strade nuove, popolare una diversità. Ci hanno abituati che funziona solo ciò che è di cassetta: gli artisti devono avere più coraggio, allora i produttori seguiranno.
Io non credo che sia tutto sporco: io credo che le cose si possano cambiare.



giovedì 5 marzo 2015

One Billion Rising 2015: un report

di Simonetta Ottone • Non numeri, ma persone. Tante, tantissime persone che hanno animato, con danze e musica le piazze, le strade, i quartieri in tutto il mondo. E' successo anche quest'anno, il 14 Febbraio, con One Billion Rising Revolution. 
E parlare di Violenza contro le donne attraverso la gioia, è una cosa non facile; perché si deve far leva su ciò che di buono ricordiamo di noi, la gioia di fare delle cose insieme, di dividere "fisicamente" un luogo e uno spazio attraverso un'idea. Forse è questa la Rivoluzione.
Ne parlo con Nicoletta Corradini, responsabile di One BillionRising Italia, che dice: "Quest'anno i partecipanti, i risers erano più motivati, impegnati e abbiamo visto un incredibile aumento di studenti e giovani! L'uso della musica, delle percussioni, dava un senso di libertà, così si è diffusa l'energia in tutte le strade e le piazze. Nemmeno la pioggia ha fermato gli eventi di Trento, Modena, Reggio" e aggiungo io - Livorno, che anche in Toscana quel giorno il clima non è stato conciliante. "Quest'anno non abbiamo avuto problemi con i permessi della polizia, quasi tutti i Comuni conoscono, accettano e sostengono gli eventi One Billion Rising."
E' vero, anch'io ho avuto questa impressione con le forze dell'ordine e con gli organi d'informazione, anche se non ho sentito così partecipi le istituzioni locali. E Nicoletta aggiunge: "La creatività di manifesti, musica, percussioni, tarantella, tammuriata, la varietà di abiti colorati e di performances artistiche hanno fatto sì che il 14 febbraio sia stata un'occasione indimenticabile, una raccolta di energia, passione, connessioni e nuova visione per questo Paese e il mondo intero. Il messaggio di rivoluzione continua ad essere interpretato come una pratica privata e quotidiana. Viene considerato più che una questione politica contro il sistema, piuttosto come un gioioso impegno per superare paure e pigrizia e di muoversi in una nuova direzione, insieme. Noi crediamo che l'azione e la stessa chiamata fermare la violenza contro donne e ragazze sia più facile da capire, fare propria ed assumere come obiettivo politico; e questo è un forte seme che si espanderà nei prossimi anni. Tra le tante iniziative che seguiranno c'è il progetto, per il prossimo 8 marzo, di avere 400 tassisti con striscioni sulle loro auto con la scritta "Rispettare le donne è la mia religione" (come già è stato fatto a Deli). E conclude: "la cosa che aggiungerei è l'importanza della preparazione all'evento come condivisione di idee, ritrovarsi per le prove,  approfondire il tema, i testi, preparare materiale a costo zero".
E' vero: quello è il momento in cui ci uniamo e lavoriamo per un desiderio comune. E è una delle forze maggiori di One Billion Rising.

lunedì 2 marzo 2015

Best practice delle Pari Opportunità e aziende virtuose

Forse non tutti sanno che dal 5 ottobre 2009 (in seguito al positivo riscontro già avuto in Germania e Francia) esiste anche in Italia una importante opportunità per le aziende, rappresentata dalla "Carta per le Pari Opportunità e l'Uguaglianza sul Lavoro".

Si tratta di una dichiarazione di intenti, sottoscritta volontariamente da imprese di tutte le dimensioni, per la diffusione di una cultura aziendale e di politiche delle risorse umane inclusive, libere da discriminazioni e pregiudizi, capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro diversità.

Se un'impresa decide di adottare questa Carta significa che vuol organizzarsi internamente nel senso di una politica aziendale contro tutte le forme di discriminazione, di genere, età, disabilità, etnia, fede religiosa, orientamento sessuale, impegnandosi a valorizzare le diversità all’interno dell’organizzazione aziendale, con particolare riguardo alle pari opportunità tra uomo e donna. Le aziende che aderiscono dovranno adottare una serie di iniziative pratiche che vadano nel senso delle Pari Opportunità, e che possono riguardare ad esempio la modulazione dell'orario di lavoro, una reale strategia di avanzamento di carriera per le donne, strategie di pari opportunità dalla fase di selezione del personale a quella dell'assunzione e formazione... tutte azioni monitorate da organi interni aziendali nominati all'uopo.
Ad oggi hanno aderito alla Carta 674 aziende e 221 Pubbliche Amministrazioni. 
Tra i fatti positivi dell'adesione alla Carta c'è che queste "best practice" non restano solo all'interno dell'azienda ma hanno anche visibilità esterna: possono così essere d'esempio per altre aziende che ancora non hanno adottato strategie di diversity management.

Così le aziende che aderiscono possono determinare una maggiore possibilità di attrarre i migliori talenti, ma possono anche aumentare le scelte dei consumatori più sensibili a queste tematiche.