domenica 8 marzo 2015

Il teatro come rivoluzione

di Simonetta Ottone
Michela Lucenti, una donna piccola, veloce, con lineamenti indio - è alla guida dal 2003 di Balletto Civile, Formazione di Teatro Fisico d'Arte tra le più interessanti in Italia, e richiestissima in Europa. 
Formata come attrice da un Teatro Stabile, ha capito che la danza, che aveva praticato ben presto, era forse ciò di cui aveva bisogno un teatro più credibile. Inizia una sua personale ricerca volta alla contaminazione, al superamento dei generi stessi. Non a caso, la prima Compagnia che fonderà con Alessandro Berti fin dai primi anni '90, si chiamerà "Impasto". Ma non basta. Michela inizia una sua lotta, alla ricerca di luoghi, temi, metodi che possano nutrire il suo mandato di artista: vita nomade e  piena immersione nella realtà del suo tempo. Questo è il teatro, secondo Michela, e questo è ciò che fa ogni giorno, ormai da almeno due decenni, per restituire all'arte dello spettacolo dal vivo, una missione forte e dirompente. Etica. Così sono i suoi spettacoli, dove la voracità di corpi in movimento diventa la voracità di vivere, di sapere, di riempire vuoti, grandi. Azioni che nascono da mancanze e che solo fuggevolmente le colmano, anche se quando succede, succede la bellezza. Che non è solo eleganza, moderazione, ma è verità. Senza mezze misure.
L'ho incontrata dopo uno spettacolo - IN-ERME, presentato a Firenze - che parla di madri che vorrebbero avvolgere e portare via dalla guerra, da tutte le guerre, i loro figli. Uno spettacolo dove si parla di piccoli piedi, di fratelli che partono, della voglia delle donne di non farli andare, di uomini dalla voce di ragazzo con movimenti fluttuanti e pieni di dolcezza.
Michela, come nasce questo spettacolo, IN - ERME?
Il progetto nacque con il Festival Oriente Occidente: la prima guerra mondiale, dal punto di vista dei civili, testimoni loro malgrado, gente comune o oligarchi industriali che la devono finanziare. Il novecento è un secolo che non ha mai avuto pace. IN - ERME non è una commemorazione, è più la voglia di fare i conti con una storia recente straripante di guerra.
Nei tuoi spettacoli c'è il corpo, con il movimento, la parola, la musica. Un impianto composito tra lavoro attoriale, danza, movimento, testo, musica, scenografie, luci, che aggancia lo spettatore su  più livelli. Come definiresti ciò che fai?
Noi narriamo storie attraverso azioni; nel nostro teatro fisico i corpi sono una testimonianza di oggi, del 2015, no degli anni '80 o '90, perché siamo diversi rispetto a allora. Agli attori e  danzatori con cui lavoro chiedo ogni giorno di allenarsi, ma anche di leggere il giornale. C'è bisogno di un'arte forte, per resistere a un paese in declino. Ci vogliono corpi pronti, generosi al sacrificio della disfatta. Essere vigili, coscienti di cosa stiamo facendo, è la nostra necessità di ripartire, anche dalla disfatta.
Balletto Civile è un Collettivo nomade di performers. Che vuol dire?
Il nostro gruppo si basa su un meccanismo comunitario, sono interessata alla politica dei processi. Ci sono i fondatori, un nucleo stabile, e chi collabora. I giovani entrano in contatto con noi con la Formazione, poi alcuni entrano "a bottega" con noi e cerchiamo di farli crescere, già inseriti in un contesto di lavoro. Con la crisi fortissima nel nostro settore, a cosa serve altrimenti in Italia formare performers che saranno sicuramente dei disoccupati? In questo modo il nostro non è solo un progetto di lavoro, ma è un progetto umano. E ovunque vada, prendo lavoratori del posto, ma mi porto dietro i miei e non prendo, per la mia direzione, uno stipendio più alto degli altri. Il nostro obiettivo principale, è quello di mantenere in vita e con un'attività lavorativa continua una compagnia di 19 performers. Tra le realtà indipendenti, è un'esperienza unica e straordinaria nel panorama del teatro e della danza in Italia, considerato il numero di persone coinvolte nel progetto.
Quali sono le donne che  ti hanno più ispirata?
Mi interessa il lavoro sulla voce, quindi Patti Smith, Amanda Galas: sono donne che hanno rivoluzionato la scena. Adriana Cavarero è la donna che ha parlato di "Orrorismo", che ha riflettuto sulla guerra a partire dai civili, è stata quel riverbero forte che ha dato l'avvio alla scrittura dello spettacolo, a cura di Alessandro Berti. Poi è venuta a vederci e mi ha detto: - ho trovato ciò che avevo scritto. E' il momento in cui le donne devono parlare, e questa sera ho avuto speranza che si cominciasse a farlo.
Cosa pensi della parità tra donne e uomini?
Non c'è parità, gli uomini non la contemplano e le donne dovrebbero stare sveglie e reattive in ogni ambito. E più si sale, più aumenta questa tendenza: quando vado in grandi teatri e mi presento, mi dicono "bene, ma quando viene il regista?" Per loro al massimo posso essere un'assistente. A volte, anche all'estero. Il potere è di chi tiene i fili. Dimmi quale uomo terrebbe riunita tutta questa gente, se non a fronte di una grossa cifra? La donna ha il potere dell'aggregazione: io uso una forza, in quanto Direttrice, ma anche l'accoglienza, saper fare da collante per rimanere insieme. Il futuro del femminismo sarà accettare e valorizzare le differenze tra i generi.
Chi è stato importante per te, in cultura? Cosa vedi oggi nel Teatro e nella Danza in Italia e in Europa?
Per me è importante chi ha un potere rivoluzionario, Pasolini. Antonio Latella, Emma Dante, Valerio Binasco sono artisti che ottengono qualcosa in un solco di diversità. La Danza la trovo fragilissima, da noi: non c'è altrettanta rivoluzione in Italia, all'estero sì. Penso che non dobbiamo avere paura di solcare strade nuove, popolare una diversità. Ci hanno abituati che funziona solo ciò che è di cassetta: gli artisti devono avere più coraggio, allora i produttori seguiranno.
Io non credo che sia tutto sporco: io credo che le cose si possano cambiare.



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