di
Simonetta Ottone • Un
incontro atteso da tempo, quello con Francesco Niccolini. Un nome e un modo di
porre il teatro e la sua scrittura che hanno alimentato la possibilità di agganciare il nostro lavoro sul campo
di operatori teatrali, alla vita. Quella dentro e fuori di noi, quella che
viviamo o che ci scorre accanto, ma che facciamo nostra, per restituirla
attraverso narrazioni di voce, corpo e parola.
• Come ti sei avvicinato al Teatro e alla sua
scrittura?
Mi
sono laureato in Storia dello Spettacolo a Firenze. L'ho deciso subito al primo
anno, dopo aver vissuto una indimenticabile lezione su Luchino Visconti e
Giorgio Strehler: decisi che avrei voluto fare teatro. E così è stato. Fino ai
trent'anni dividendomi con un altro lavoro (facevo il grafico pubblicitario),
poi senza più abbandonare il teatro un solo giorno.
• Nel
tuo lavoro sei venuto in contatto con la Toscana?
Sono
nato in Toscana, tuttora vivo metà della mia vita a Livorno. In Toscana ho
lavorato molto in passato: fino al 2000 ho diretto un festival ad Arezzo, poi
mi sono trasferito a Castiglioncello dove insieme a Massimo Paganelli, Fabio
Masi e Angela Fumarola ho fondato il festival Inequilibrio. Castello Pasquini è
stato un posto speciale nella mia vita per molti anni e non nascondo di
ripensarci spesso. Nel frattempo ho lavorato lontano con molti grandi artisti
(Marco Paolini su tutti) ma alcune cose ho potuto farle anche in Toscana, in
tutti gli ambiti delle arti dal vivo: con Roberto Castello e Giorgio Rossi
nella danza, Bruno De Franceschi nella lirica, e poi ho scritto testi per Anna
Meacci, Sandro Lombardi, Letizia Pardi, Fabrizio Cassanelli. Nel 2006 ho
realizzato uno dei lavori che ho amato di più: “La Grande Guerra dell'Arno”,
uno spettacolo evento per i 40 anni dell'Alluvione a Firenze. In scena tre
grandissimi amici: Sandro Lombardi, Marco Paolini e Anna Meacci. Una esperienza
bellissima e indimenticabile che sto per riprendere con Arca Azzurra e con un
testo rinnovato.
• Chi sono i tuoi riferimenti, i tuoi Maestri?
Qualcuno di questi è una donna?
Più
che maestri, direi grandissimi compagni di viaggio dai quali ho imparato
moltissimo: alcuni in carne e ossa, altri per le parole che hanno lasciato e
sulle quali mi sono formato. Sì, la mia vita teatrale ha una fortissima base
come lettore di grandi romanzieri. Marguerite Yourcenar, Irène Némirovsky ed
Elena Ferrante su tutti. E poi qualche caso speciale, tipo quello di Patrizia
Runfola, una scrittrice siciliana decisamente poco nota, ma secondo me una
stella di prima grandezza che ha avuto poco tempo per poter brillare.
• Cosa pensi del rapporto donna e teatro,
donna e scrittura, donna e arte?
Non
ho mai fatto una distinzione uomo/donna in questa materia. Ho lavorato con
grandi artisti, il loro genere è sempre stato una questione secondaria: sulla
scena non ho mai sentito differenza o fatto distinzioni. Cerco di lavorare con
grandi professionisti, dotati di talento e dedizione. Fra questi, sicuramente
delle donne speciali, su tutte Angela Finocchiaro, Laura Curino e Anna
Bonaiuto.
• Ci
sono in Italia donne autrici che fanno la differenza?
Emma
Dante, Lucia Calamaro ed Elena Stancanelli sono i primi nomi che mi vengono in
mente.
• Che spazio ha attualmente in Italia il teatro contemporaneo?
Non
so se sono in grado di fare un'analisi seria delle forme del teatro italiano
contemporaneo: di sicuro siamo vittime più di ogni altro paese d'Europa di un
sistema che privilegia le star (della televisione) e i testi classici. C'è
pochissima curiosità e voglia di rischiare sul contemporaneo. Ma c'è anche una
scarsissima fiducia dello Stato nel riconoscere un ruolo fondamentale della
creazione nella cultura italiana. Questa è la vera tragedia. E un sistema
lobbistico, dove chi è dentro è bello saldo, chi è fuori resta fuori, e gli
unici spiragli sono per gli amici del partito giusto in quella regione o in
quella spartizione. Una volta Massimo Paganelli ebbe a dire di me a un regista
amico che sono senza partiti né padrini alle spalle, e per questo non avrei mai
potuto accedere ai posti importanti. Lo prendo come un grande complimento,
anche se con evidente amarezza.
• Che
sistema ci manca rispetto a altri paesi europei?
Ci
mancano i soldi spesi bene, manca convinzione e una reale capacità di scegliere
la qualità, invece degli amici e i finti borderò. Ci manca la voglia di andare
contro il gusto di un pubblico moribondo per una parte e televisivo per
l'altra.
• Trovi che la società in cui viviamo sia
violenta nei confronti delle donne?
Trovo
che ci sia molta violenza, e che le donne ne paghino il prezzo più feroce
insieme ai bambini. Immagino
che sia il frutto di millenni di società patriarcale, dove la violenza ha
sempre avuto molto più spazio del diritto.
• C'è
una sperequazione di potere e opportunità fra i due generi?
Meno
che in passato forse, ma sicuramente ancora sì. Però in questa materia rischio
di essere molto generico: a me sembra ormai che la sperequazione sia fra chi ha
un posto fisso e garantito e tutti coloro che devono stringere i denti senza
nessuna garanzia, con pagamenti sempre più in ritardo e l'obbligo di cedere a
molti ricatti pur di lavorare.
• Che
senso di appartenenza ha questo lavoro a
un contesto civico e politico?
Non
esiste teatro senza una comunità di fronte alla quale generare l'atto teatrale.
Non c'è teatro fuori dalla città, nel senso più radicale di civitas. Chi
mi conosce sa bene che il mio teatro, i miei documentari, i miei libri a
fumetti sono tutti segnati da un fortissimo impegno civile e politico, non
dentro uno schieramento partitico. Faccio un esempio per me importante: da un
paio di anni sto lavorando a una trilogia di racconti con tre attori pugliesi
con i quali vorrei raccontare le esperienze e le vite di Antonio Gramsci, don
Lorenzo Milani e Danilo Dolci. Credo che si possa intuire da che parte sto, e
non faccio nulla per nasconderlo.
• Che importanza hanno nella nostra società la
cultura e in particolare il Teatro?
Nella
società italiana pochissima. All'estero molto di più: altrove c'è ancora un
riconoscimento forte tra un'idea di cultura, nazione, popolo, creazione
contemporanea. Da noi prevale un'idea archeologica della cultura e dell'arte,
ci piace illuderci che un passato ormai lontanissimo continui a fare
dell'Italia la culla della cultura, ma è un atteggiamento perdente e si vede.
Noi ormai siamo l'estrema periferia di un mondo che viaggia a ben altra
velocità e con ben altri orizzonti, sogni e interessi.
• Prossimi progetti
A
marzo debutterà un grosso spettacolo di teatro in musica che ho scritto per
Eugenio Finardi, una decina di giovani attori e la regia di Emanuele Gamba.
Incredibile ma vero, la produzione (Todo Modo) è livornese... cosa che mi
sorprende e mi rende felice. Fare le riunioni a casa mia e andare alle prove a
piedi mi pare innaturale... ad aprile inizierò le prove a San Casciano con Arca
Azzurra sullo spettacolo per i 50 anni dell'alluvione: due spettacoli in
Toscana... mi pare bellissimo.
Per
il resto, i miei progetti insistono intorno a un solo centro: cercare di fare
cose belle. Spettacoli, libri e documentari che creino emozione, che lacerino
pance e menti, che generino indignazione oppure provochino il batticuore,
sempre nel rispetto della verità, senza menzogne, al massimo inventando, ma
sempre e rigorosamente senza menzogne. Con i pochi, poveri strumenti a mia
disposizione: corpi d'attore, mani di disegnatori, parole, musica, qualche
luce, un po' di colore, partendo sempre da una pagina bianca. Mai da solo,
sempre in viaggio con altri amici, artigiani, artisti verso i quali provo una
profonda stima e un grande piacere nel condividere le stagioni della mia vita.
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