di
Simonetta Ottone • Tu mi metti il
guinzaglio, io guaisco un po', poi sorrido, perché è così che ti piace (Lorella
Zanardo, da Il Corpo delle Donne)
Siamo
accerchiati, non c'è che dire.
Chi
non si rassegna all'apatia, chi non si seda in qualche modo, trova davanti a sé
nodi inestricabili di contraddizioni, mistificazioni, ostentazioni oscene.
E la politica locale di luoghi di provincia sembra fatta apposta per tenere lontane le persone serie, capaci, quasi che la politica fosse una discarica di gente che non è riuscita, con le sole proprie forze, a farsi una storia. Chi pratica la politica come semplice atto di volontariato civico e non dispone di un sufficiente senso dell'umorismo, vede scorrere davanti a sé scene grottesche, conversazioni imbarazzanti, per contenuti e sintassi, organizzazione del consenso rivolto a chi è in stato di necessità o a chi non ha strumenti culturali e critici e così facendo, non li avrà mai.
E la politica locale di luoghi di provincia sembra fatta apposta per tenere lontane le persone serie, capaci, quasi che la politica fosse una discarica di gente che non è riuscita, con le sole proprie forze, a farsi una storia. Chi pratica la politica come semplice atto di volontariato civico e non dispone di un sufficiente senso dell'umorismo, vede scorrere davanti a sé scene grottesche, conversazioni imbarazzanti, per contenuti e sintassi, organizzazione del consenso rivolto a chi è in stato di necessità o a chi non ha strumenti culturali e critici e così facendo, non li avrà mai.
Ci
si trova di fronte a una specie di fiera plebea, riverniciata a colpi di non
rottamato arrivismo da parte di neopoliticanti in pieno dilettantismo
arruffone, animati spesso da quel linguaggio orribile mutuato dall'ambito
aziendale. Giovani (almeno quello!), scolarizzati managers rampanti, eterni
stagisti (comprensibile visto la fase storica), che però parlano di politica
come fossero a una convention aziendale, con nessun tangibile background
culturale, dalla solidità inesistente e dal cinismo preconfezionato di
"papà".
Così
può succedere di notare, nel silenzio assenso generale, disinvolti consiglieri
comunali che in lunghi anni dirottano, da dentro il Comune, i fondi al sociale
verso personali fantomatici progetti culturali, utili più che altro alla
riconferma del proprio consenso e della propria prosperità. E si impegnano, nei
medesimi progetti, anche come "educatori" (quale ironia), nel
territorio stesso di giurisdizione del proprio incarico politico.
E,
poco più in là, possiamo notare Assessori alla Cultura che fanno lavorare i
propri figli nelle Istituzioni pubbliche di cui sono Presidenti.
O
addirittura, fidanzate di sindaci rinnovatori di carriera riempire i teatri che
essi stessi gestiscono nel proprio territorio, con dispendio di strutture e
fondi pubblici, per proposte commerciali mascherate da proposte culturali, o
meglio, la "kultura" in trasferta dalla TV e dal business del New Age.
Beh,
insomma, non ci facciamo mancare proprio nulla: se questa è la
"nuova" politica, rottamiamoci tutti. Rottamiamoci perché non
vediamo, non valutiamo, non decidiamo. Non rischiamo, perché un cambiamento
radicale richiede una vigilanza molto alta, volta non tanto alla critica vuota,
ma al contenimento di vecchi e putrescenti metodi. Siamo sempre in balìa di un
popolo che ha nel proprio DNA la malattia endemica del conflitto d'interesse, una
malattia che è facile diagnosticare, basta guardare appena sotto la superficie.
Ma noi non curiamo questo male radicato, lo alimentiamo, e lui cresce e
continua a mangiarsi un paese in cui le opportunità vanno ai soliti. Siamo i
finanziatori di questo cannibalismo.
"Chi
maneggia festeggia" dice un proverbio. Perché in fondo sentiamo simpatia,
se non ammirazione, per chi maneggia, a volte speriamo di festeggiare insieme a
lui. Tolleriamo un po' di "esuberanza", la stessa che porta all'abuso
del potere dato da incarichi pubblici e non ci risentiamo troppo con chi
tradisce la fiducia della collettività, la danneggia e la affama di risorse. Siamo
noi che decretiamo la casta e sono loro, i politici, le vere superstars di
questa agonizzante "società dello spettacolo" (quanto profetico fu
Debord!).
E
facciamo la claque quando chiamano i loro amici intellettuali, maschi pure loro
di solito e spesso protetti da personaggi vip, che con tre citazioni "dense di semantica"
ci regalano momenti "edificanti"
di cultura del consenso.
Uomini
di solito, in larga parte sul podio, perché alle donne da sempre appartiene il
tributo, ma non il tribuno.
Sono
ancora gli uomini che gestiscono il bene pubblico in Italia, e lo gestiscono
spesso come fosse roba loro: la massima territorialità con la massima
prevaricazione. A noi non rimane che trattare con il loro potere,
riconoscendolo e così facendo potenziandolo. E le donne al guinzaglio che guaiscono,
sorridono e scodinzolano come piace a loro, sono la più straordinaria prova
di quella forza distruttiva dell'uomo, che è da smascherare, denunciare e
combattere.
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