di
Simonetta Ottone • In
occasione del 25 Novembre sono stati organizzati dal Consiglio
Regionale della Toscana due bei convegni, di cui uno sulla Convenzione di
Istanbul. Numerosi
gli ospiti, ognuno dei quali ha fornito un punto di vista utile a inquadrare
una questione complessa che suggerisce riflessioni di ampio raggio. Mi
rifiuto di parlare di violenza di genere (solo) in termini numerici. Ovunque vengono
pronunciati numeri inimmaginabili, che hanno solo il suono di parole.
Il 2013 ha visto cifre intollerabili, il 2014 solo lievemente inferiori. Più
di 100, in questo anno in Italia, i bambini resi orfani di madre, dai loro
stessi padri. E,
ogni volta, non ci indigniamo mai abbastanza: alcuni giornali dichiarano di
ricevere più proteste e richieste di chiarimenti quando pubblicano notizie di
violenza su animali, che su donne.
Nell'Italia
della sperquazione dei poteri, la Violenza si riproduce in ogni forma. Il
potere dei datori di lavoro aumenta? E così aumentano le molestie sessuali in
ambito lavorativo e non sempre la risposta legislativa calza sul mondo reale
del lavoro (la lacuna normativa sul mobbing, che colpisce maggiormente la
grande impresa, rimane una lacuna insopportabile).
Nonostante
una donna uccisa tra le pareti domestiche ogni 2,5 giorni ormai da anni, ancora
non c'è una raccolta sistematica di dati che possa fornire correlazioni tra una
particolare donna e un particolare uomo, che possa accedere a atti processuali,
nel tentativo di dare risposte tempestive a persone violate e prevenirne altre.
"Gli
autori di questo tipo di reati, d'altra parte, non rientrano in nessun profilo
esistente, né psicologico, né criminologico. Buona parte di ciò che dobbiamo
affrontare in questo ambito, ci è ignoto. Ecco perché la politica deve
costituire un'Agenzia Nazionale contro la violenza sulle donne", dice Fabio
Roia, Magistrato del Tribunale di Milano.
I
maltrattanti siamo noi, la gente comune, non incensurati, sono professionisti
affermati che si trasformano tra le mura domestiche. Parlare di mostri o di
"raptus" (fenomeno pare inesistente anche da un punto di vista
psichiatrico), è ostinarsi a non misurarsi con la realtà.
E
continua, Roia: "I fatti ci confermano che si parla di un fenomeno che ha
una sua specificità: le donne vengono ammazzate perché c'è un'errata
valutazione del rischio. Va capito dove si trova il nodo, in che punto ci
arrestiamo o torniamo indietro".
Dal
momento che una donna narra il fatto, parla di relazioni malate per gelosia o
separazione, o per l'affidamento dei figli, deve essere fatta correttamente
un'analisi del rischio, sapere quanto questa donna sia esposta o no, se sia
necessario l'allontanamento. E allora mi domando: che succede dopo che la donna
querela, fa un'azione chiara? Se la mediazione è rischiosa e non da percorrere,
siamo però in grado di prendere una donna in carico a 360°?
I
dati accennati dal Magistrato dicono che il 77% dei medici di base, il 69% di
chi opera nel Pronto Soccorso, il 55% di chi è impegnato in strutture pubbliche,
non hanno sentore di trovarsi di fronte alla violenza sulla donna. E la
disgregazione sociale, l'assenza di contenimento sociale, accentuano la
solitudine della maltrattata.
Se
è vero che la soluzione non sta solo nelle aule giudiziarie, siamo pronti sul
piano culturale? E quale è la cultura giudiziaria di riferimento? Non sempre i
magistrati che giudicano questo tipo di casi sono specializzati in questo
ambito specifico. Di fronte a processi recentemente svoltisi in Italia, assistiamo
sovente a sentenze paradossali. Come nel caso di uno stupro in cui gli atti processuali
dichiaravano che la disparità tra i due non era così forte, perché lei
semincosciente (per abuso d'alcol) e lui più giovane di 20 anni. Siamo sicuri
che chi giudica conosca tutte quelle scienze complementari necessarie a valutare
un ambito così delicato e particolare? E gli avvocati che assistono le vittime
sono preparati a far crescere il processo non con elementi effimeri di fronte
al giudice? E visto che di solito l'autore del reato vuole sfidare la donna
anche in ambito processuale, cosa facciamo in presenza di situazioni che
portano alla "vittimizzazione secondaria" stabilita dalla Convenzione
di Istanbul, come nel caso di donne che nel processo devono parlare di violenze
subite non solo davanti a tutti, ma avendo in faccia il loro aggressore?
Perché
in un processo i diritti del deputato non devono superare la tutela e il
diritto alla salute della vittima, e in certi casi, come grazie a questa
Convenzione la Legge c'è, ma tutti quanti la dobbiamo realizzare, visto che
allargare l'interpretazione alla luce della Convenzione è diventata la Legge
dello Stato Italiano.
Una
Legge molto, molto avanzata per noi, che ci obbliga a fare passi davvero
grandi.
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