giovedì 13 novembre 2014

Lettura. Scrittura. E intervista a Valerio Nardoni

di Simonetta Ottone: Donna e poesia nello sguardo di Valerio Nardoni
Gli italiani sono un popolo di poeti e scrittori. Ma non hanno bisogno di leggere. Tuttavia, le donne risultano lettrici più forti (2012, Istat, lettrici 51,6%, lettori 38,5%). Inoltre sono più numerose nell'intera filiera dell'industria editoriale, soprattutto di quella emergente; amano anche scrivere, seguono corsi, partecipano a iniziative, la loro fecondità intellettuale alimenta settori di economia legati alla cultura. Editori sostengono che le donne scrivano bene, siano in numero maggiore aspiranti esordienti, ma poi sugli scaffali delle librerie gli autori esposti sono in maggioranza uomini.
Un recente studio americano, condotto dalle principali riviste culturali anglosassoni, ha scoperto una spiccata preferenza mediatica per scrittori e critici uomini e anche l'Observer conferma che attualmente le donne leggono di più in quasi tutte le categorie.
Dunque, pare che una donna sia pubblicata solo quando rientra in una tendenza, una moda, quando scrive di infanzia o di erotico. Forse è vero che i lettori maschi si fidano poco delle donne, mentre quest'ultime sono da sempre le fruitrici, estimatrici, muse e consumatrici di opere maschili, in ogni campo. O forse alla donna manca il tempo di dedicarsi sistematicamente alla scrittura, così viene considerata un'eterna hobbista, o non ha quella componente narcisistica che permette all'altro sesso di cercare un riconoscimento.

Nel mese che celebra la morte di Alda Merini, parlo di tutto questo con Valerio Nardoni, ispanista, impegnato in letteratura e traduzione letteraria. Uno sguardo ampio, poiché Valerio è attivo su più fronti: docente universitario, traduttore di numerose raccolte di poesia spagnola (P. Salinas, F. G. Lorca, P. Neruda...), collabora con La ferita nell'essere, antologia dell'opera di Mario Luzi e con un'antologia dell'opera di Federico García Lorca (Corriere della Sera, Einaudi). Fondatore del progetto editoriale Valigie rosse, autore del romanzo Capelli blu (Edizioni e/o, 2012) e di una raccolta poetica, Senso di facilità (Passigli Editori, 2014).
1 - Valerio, quando ti sei avvicinato alla scrittura? 2 - E chi sono le persone che ti hanno appassionato e accompagnato in questo percorso?
Il mio incontro con la scrittura è stato piuttosto “tardo”: devo tutto a un amico che mi ha prestato un libro in un momento particolare, quando cioè decisi di lasciare la facoltà di Ingegneria ed insieme affittammo uno studio di pittura. Da lì iniziai a leggere molto e a tenere un diario. Con la poesia l'incontro è avvenuto ancora più tardi, cioè quando abbiamo lasciato quello studio ed io mi sono trasferito a Firenze: per merito di un'amica, ebbi la fortuna di conoscere un professore, Gaetano Chiappini, che poi sarebbe diventato il vero maestro di quanto io sia stato capace di imparare. Lui si occupava di letteratura spagnola, era una persona davvero fuori da ogni possibilità di classificazione: l'ho perduto due mesi fa, ancora non riesco a farmene una ragione. Non so di dove ripartire.
Nel campo della poesia non ho mai trovato qualcuno che la capisse più a fondo di lui. E questa non è una frase retorica. Ho conosciuto e frequentato da vicino Mario Luzi, ma saper scrivere e sapere leggere o sapere dire che cosa si è letto sono tutte qualità differenti. Gaetano Chiappini ha fatto innamorare della poesia generazioni di studenti.
Ad ogni modo, ho la fortuna di avere – fin da piccolo, devo dire – anche importanti amicizie con delle donne. Cosa non sempre facile. Nel campo della poesia, incontri determinanti sono state Alberta Bigagli e Clara Janés. Alberta, fiorentina, classe 1928, è l'autrice del primo libro di poesia che io abbia mai letto. Fu il mio professore stesso a consigliarmelo: erano i primissimi tempi che ci conoscevamo, lui sosteneva che io avessi una disposizione naturale alla poesia ed io, che di poesia non ne avevo mai letta – è il bello di essere giovani – gli chiesi di darmene prova! Così un sabato mi regalò un volumetto di versi dicendomi che il lunedì successivo l'autrice di quel libro sarebbe venuta a trovarlo e che io "le avrei spiegato” la sua stessa opera. Diventammo poi molto amici con Alberta: oggi sono curatore della sua opera completa. Clara Janés è invece l'autrice del primo libro di poesia che io abbia tradotto integralmente: ogni volta che vado a Madrid passo sempre da casa di Clara, la sua è davvero una mente indipendente, i pareri che le chiedo sul mondo della letteratura si verificano poi sempre lucidamente esatti. Grazie a Clara ho recuperato un bel po' di del ritardo accumulato durante il mio percorso!
3 - Se apriamo un'antologia di liceo, all'indice troviamo pochissimi nomi di donne. E oggi come va?  
Se pensiamo alla poesia, in giro ci sono troppi e troppo brutti libri di dilettanti – la scarsità di nomi femminili nella maggior parte delle collane può essere una virtù!
A parte gli scherzi, al decadimento culturale che si è registrato negli ultimi decenni, è seguito anche un allargamento del popolo degli autori (parliamo chiaro, ci sono rientrato anche io): oggi, se ci si accontenta, per essere scrittore basta avere un po' di amici su facebook, duemila euro, e stamparsi un libro. È una cosa che riprendo da un libro di Alberto Bertoni (La poesia contemporanea), ma la ripeto sempre: in Italia sono censiti circa un milione di poeti. Se ognuno di loro comprasse anche solo un libro di poesia contemporanea all'anno la poesia sarebbe un business. E invece le cose non stanno così: la questione va riformulata. In Italia ci sono circa un milione di persone interessate a qualcosa per la quale non sono disposti a spendere neppure 10 euro l'anno, o meglio: sono disposti a pubblicare a pagamento, spendendo 2-3000 euro per farsi pubblicare, ma neppure 10 euro per sapere cosa abbia scritto un altro!
La rottura dei canali consueti per cui si arrivava ad essere poeti o meno (riconoscimento della critica, frequentazione di ambienti o movimenti, ecc.) ha prodotto una sorta di sproloquio collettivo, ma che di certo non sarà da leggere tutto in chiave negativa. Infatti è ben facile riconoscere la maggioranza di libri veramente osceni, e dal mucchio usciranno senz'altro delle personalità libere e di una nuova qualità: e forse proprio dalle voci femminili potrebbero venire le più sostanziali novità rispetto al passato.
4 - Quanto è difficile oggi il mondo dell'editoria? Si pubblicano più uomini o donne? Cosa vuol dire muovere operazioni culturali indipendenti?
Non so molto dei grandi gruppi, se non le cose più semplici: ovvero, che per essere grandi gruppi devono vendere molti libri, e molti libri li vendono la Parodi e Gramellini. Che siano uomini o donne non mi pare così immediatamente rilevante. Una volta ho sentito parlare l'amministratore delegato della Giunti, che disse con grande serenità e professionalità che loro producono dei “non-libri”, altrimenti non li venderebbero. Tipo, che so, il libro con le ricette di biscotti a forma di scatola di biscotti.
Detto questo, fra la “grande” editoria e le realtà intermedie, c'è un abisso incolmabile; fra le realtà intermedie e quelle piccole un vero e proprio cambio di galassia. Quando infine si arriva alle “operazione culturali indipendenti” spesso un discorso di tipo generale non è più possibile – se non per gli intenti – in quanto dal profitto (unità di misura universale) si passa alle motivazioni personali di chi le promuove come di chi ne fruisce. L'operazione culturale, oggettivamente, interessa a poche persone; la maggioranza preferisce lo svago e il divertimento, fruisce di un qualcosa che lo aiuti a non pensare, in quanto da pensare ne ha già per conto suo. Che poi quel pensare sia un pensiero sterile, che tende ad atrofizzarsi, è altrettanto oggettivo, per carità, ma qui a mio parere si sfocia nella sociologia, l'editoria occupa solo un frammento del discorso. Molti operatori indipendenti, ad ogni modo, credo che tentino, nel loro piccolo, di contrastare questa forza atrofizzante; ma poi non ci mangiano, quanto possono durare? Si torna lì col conto.
La mia opinione critica non vuole essere pura, non viene dal di fuori, io stesso sono impegnato in un progetto editoriale indipendente (valigierosse.net) in quotidiana lotta di sopravvivenza. In breve: la completa indipendenza la otteniamo dal fatto di rappresentare una realtà totalmente no-profit; mentre il nostro narcisismo si sfoga nel tentativo di valorizzare al meglio il merito di altri. Assegniamo ogni anno un premio di poesia – che coincide con una pubblicazione – ad un poeta italiano e ad uno straniero, cercando di offrire al nostro panorama editoriale una sorta di “mappatura” dell'attuale poesia italiana (premiamo poeti né alle prime armi, né già celebrati e diversi fra loro: non promuoviamo una linea, degli amici o dei clienti) ed un “assaggio” di alcune voci straniere di valore, ogni anno appartenenti ad un paese differente ed inedite in Italia. Numeri: abbiamo pubblicato 10 libri di poesia. Nel gruppo di italiani ancora non ci sono donne, credo ancora per poco; nel gruppo di stranieri, ma per puro caso, la selezione ha invece prodotto una sequenza alternata uomo – donna. Lo stesso sta avvenendo nella collana di prosa. Detto sinceramente, non ci siamo posti il problema del sesso dei nostri autori. Alberta Bigagli, di cui ho parlato prima, ha con noi pubblicato un libro molto bello sulle memorie di quando, da giovane, era un'impiegata della Te.Ti, poi Sip, oggi Telecom. Quello è un libro molto al femminile, senz'altro. Per concludere, citerò il libro Rosso Primo (Mavida Edizioni, 2009) progetto editoriale da cui è poi nato il progetto Valigie Rosse: si tratta di un'antologia poetica illustrata contenente 33 poesie inedite di altrettanti poeti internazionali, tutte dedicate alla donna. Ogni poesia è montata graficamente su un quadro appositamente realizzato, in modo da costituire la copertina di una rivista di moda. Abbiamo giocato fra la pretesa di durata della poesia e la rapidità con cui la moda sfuma. Ecco qualche immagine.
5 - Trovi che la società in cui viviamo sia violenta nei confronti delle donne? E perché? C'è una sperequazione di potere e di opportunità fra i due generi?
Che domanda! Mi vengono le vertigini, devo cercare qualcosa su wikipedia per rispondere! Vediamo: da un punto di vista zoologico, nasciamo in un mondo fondato sulla legge del più forte (dove la forza può anche essere intesa come velocità di fuga o abilità di nascondersi, insomma: chi non ha testa o almeno gambe campa poco, e quasi sempre il maschio ha una fisicità più spiccata). Da un punto di vista culturale, viviamo in una società basata sulla dottrina cattolica, dove il capo supremo non può essere una donna, come del resto non può essere neppure un più semplice vescovo, o un umile parrocuccio di provincia. Da un punto di vista economico, siamo alla competizione più sfrenata, a cui si aggiunge un totale disinteresse per il mantenimento dell'ambiente collettivo, sconosciuto sia alla natura, sia alla religione. La famiglia, che è il modo in cui noi ci raggruppiamo per poterci proiettare nel tempo della nostra vita, è una realtà dove questi valori non possono discutersi in modo separato. Ed è nelle nostre famiglie, prima di tutto, che siamo uomini e donne.
Così, di volta in volta, il “problema” dei diritti delle donne, torna in evidenza da punti di vista differenti, grazie a voci critiche intense ma quasi sempre arginabili in nome dei grandi fondamenti della società.
Si dirà per esempio che la maternità impedisce alle donne di alienarsi totalmente nel lavoro... o che una madre alienata (come dire di no) non è una buona mamma... ma perché: un padre alienato è il sogno di qualcuno? La divisione dei ruoli è un modello col quale io stesso sono cresciuto, e da bambino non ho mai percepito uno dei miei genitori più sacrificato dell'altro, sebbene oggi possa riconoscere che lo sforzo non monetizzato di  madre sia molto difficile da quantificare, e che il fatto stesso di non essere lei a portare in casa i soldi – qualora l'equilibrio si infrangesse, come è inevitabile che accada in ogni relazione – la metterebbe nella solita posizione di sfavore.
Dico questo per affermare che l'attuale caduta del modello di famiglia nel quale siamo cresciuti non porterà solo disfacimento, ma anche nuove opportunità per tutti. Non solo per le donne, tutti dobbiamo emanciparci dalla fissazione in noi stessi e nel nostro ruolo zooeconimicumenico.
Proprio in questi giorni, insieme ad un poeta spagnolo, sto rivedendo la traduzione di alcune poesie di Franco Buffoni, vi va di leggerne una?


Di quando Lévi-Strauss disse a Sartre
che bisognava cominciare a studiare l'uomo
senza particolari privilegi.


In Patagonia i leoni marini


Due mesi all'anno stanno sulle spiagge,


Le leonesse partoriscono.


I leoni pesano circa quattrocento chili,


Le leonesse cento. Questo rende impossibile ogni lotta.


Pochi giorni dopo il parto a cui assisto in differita,


Mentre ancora allatta, una leonessa


Viene concupita da un leone autre


– Non vi è appartenenza di femmina


Se non nell'atto –


E separata dal piccolo, che a sua volta diviene


Oggetto di attenzione di un altro leone.


Qui la scena si sdoppia sulla riva,


Da una parte la leonessa, trattenuta a forza


Dal primo dei leoni, dall'altra il piccolo


In balìa del secondo che lo sbatacchia come vuole.


A quell'età – commenta il giornalista –


È facile che un giovane leone


Scambi il piccolo per femmina.


Un paio d'ore dopo il piccolo è esanime.


Naturalmente il leone non voleva ucciderlo –


se quella fosse stata la sua intenzione


Avrebbe potuto farlo in un secondo –


È stata solo inesperienza,


Il tributo che la specie paga alla sua crescita.


La madre intanto – liberata – recupera il cadaverino.


Anch'io ho visto gatti grossi mangiarsi dei neonati


Persino loro figli, e so che tra gli squali


Può avvenire che il più grosso


Divori il fratellino prima ancora del parto


In ventri matris.


Dal dì che nozze e tribunali ed are


Diero alle umane belve esser pietose


Di se stesse ed altrui...


Penso all'infante picchiato a Torino


A morte dal padre ventitreenne


Perché piangeva, non lo lasciava dormire


A conferma del fatto che una radice del male


È zoologica. Il male che accade


Al ratto di una certa tribù


Se introdotto nel territorio


Di un'altra tribù di ratti.


Agghiacciante.


6 - So che sei diventato padre da poco. Cosa significa per te la paternità? E l'essere un lavoratore autonomo di un settore in Italia così fragile, che conseguenze ha sulla costruzione di un progetto di vita e familiare?
La paternità non mi sembra così difficile, a parte il non dormire (!!!), ho spesso l'impressione che siano i bambini a istruire i genitori su cosa devono fare. Di recente però ho però scoperto l'effetto devastante dei virus portati a casa dall'asilo, e sto rivedendo le mie teorie!
A parte gli scherzi, sono un lavoratore “autonomo”, ma nient'affatto “indipendente”: anzi, dipendo moltissimo da cosa vuol fare di me chi mi prende come “collaboratore occasionale”. A volte nulla, a volte troppo tutto insieme. Raramente trovo l'equilibrio. Mi lamento di quello che mi manca, e cerco di accorgermi di quanto, quelle stesse mancanze, possono invece offrirmi. E alla fin fine, una delle cose più importanti che mi offrono è proprio quella di essere molto presente nella vita del mio bambino, che di certo non avrò modo di viziare materialmente... sulla carta non può non diventare un bimbo felice!
7 - Che importanza hanno nella nostra società la cultura e in particolare la poesia?
Beh, le istituzioni ti direbbero: “tantissima, sono la cosa più importante del mondo, senza cultura l'uomo non esiste, figuriamoci senza poesia... ”, ma poi ciò che conta sono solo i numeri, e i principi su cui viene regolato il nostro vivere quotidiano sono altri. Tra questi, anche la precarietà, che, malgrado le apparenze e le grandi chiacchierate televisive, evidentemente funziona bene come controllo sociale: ci dà quel minimo a cui non siamo in grado di rinunciare per paura di perderlo (visto che i diritti ormai, con la scusa della crisi, sono un miraggio, tutto è spred, non c'entrano gli uomini: bell'invenzione!). Ma non mi far parlare di grandi sistemi, ci sono già troppi saggi al bar. L'unica cosa concreta che io posso dire è questa: chi avesse letto la poesia che ho suggerito prima, risponda se quella poesia gli ha detto qualcosa o meno, e se quel qualcosa può fare qualcosa per lui. Se non fa nulla, per lui la poesia è inutile.
Io ho avuto questa occasione di dialogo ed ho provato a selezionare e suggerire la lettura di una poesia, questo è quanto io potessi fare. Le chiacchiere sulla poesia, come sulla cultura, sono sostanze altamente tossiche (io che sono del mestiere, spesso indosso la mascherina per leggere certi libri che non posso non leggere). Certo, io nella poesia ci credo e credo anche nella necessità di divulgazione della poesia, non di certo nei critici che la sezionano e la mettono in formalina. Con l'attrice Daniela Morozzi, il critico e poeta Paolo Maccari e il regista Riccardo Sottili abbiamo proprio in questo senso ideato una specie di talk sulla poesia, che si chiama “Poeta sarai te!”. L'anteprima sarà il 19 novembre presso lo Spazio Alfieri di Firenze. Seguiranno altre quattro serate a febbraio: un divano, degli ospiti d'eccezione, e delle letture sui temi poesia e musica, poesia e movimento, poesia e filosofia, poesia e gioco. Sarà divertente.

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