di Simonetta Ottone • Ho conosciuto Giacomo Grifoni nell'ambito del
Convegno APID 2018, incentrato sul tema della Violenza, che caldeggiai
personalmente nel Consiglio Direttivo di cui facevo parte.
Mi colpì la semplicità in cui, da uomo e
professionista, trattava tematiche complesse con la naturalezza di chi è
abituato ad analizzare le relazioni in un’ottica di genere, nelle asimmetrie di
potere tra donne e uomini. Argomenti spesso appannaggio delle donne che
lavorano per i diritti delle donne. Trovai straordinariamente potente la sua testimonianza
a stretto contatto con “l’altra parte del cielo”: quella parte che ha
grande difficoltà a parlare ed a trattare le dinamiche culturali del
comportamento abusante di cui spesso si rende protagonista. In questa
riflessione, infatti, gli uomini comuni sembrano i grandi assenti, come se la
cosa di cui sono causa nemmeno li riguardasse, e il mondo della psicologia e
della psicanalisi sembra a volte più centrato sulla persona che sul fenomeno.
Giacomo tratta l’argomento in modo
circostanziato e diretto, senza nascondersi dietro a inutili paroloni ad effetto,
senza vanità o complessi di superiorità rispetto a chi lo ascolta. I rimandi
teorici sono sempre inquadrati in risvolti applicativi, al di fuori da intellettualismi speculativi.
Come capita a me, nella mia attività professionale,
utilizza la scrittura come mezzo di elaborazione e di sensibilizzazione
culturale; scrive saggi, ma anche romanzi incentrati sul tema, rendendo
possibile la diffusione di storie belle e necessarie. Brevi note su Giacomo Grifoni
Psicologo psicoterapeuta, socio fondatore Centro Ascolto Uomini Maltrattanti di Firenze, scrittore. Autore del saggio L’uomo maltrattante. Dall’accoglienza all’intervento con l’autore di violenza domestica, Franco Angeli 2016. Autore dei due romanzi La casa dalle nuvole dentro, Amicolibro 2017; I Signori del Silenzio, Lilit books 2018.
Di seguito le domande che ho pensato di porgli per
Politica Femminile.
1
- Giacomo, da dove nasce la tua esperienza?
Sono
psicologo e da qualche anno scrivo narrativa. In realtà scrittore lo sono
sempre stato, ma in gran segreto e con una specie di freno che mi ha a lungo
impedito di uscire allo scoperto. Come per la produzione di tutte le opere
artistiche, anche la pubblicazione di narrativa ha bisogno di un grande coraggio,
che consiste nell’esposizione di un puro prodotto della propria fantasia. Più
che la paura dell’insuccesso o della critica, c’è in gioco, credo, il
sentimento della vergogna, che non puoi gestire se non hai raggiunto un certo
equilibrio interno e non sei venuto a patti con le tue paure e i tuoi
narcisismi.
Cosa ti lascia l’esperienza di socio fondatore del Centro Ascolto Uomini
Maltrattanti?
Ha
significato e significa molto, non solo dal punto di vista professionale. Mi ha
aiutato a riconoscere meccanismi e fenomeni di cui non ero per niente
consapevole, fuori e dentro di me. Incontrare la violenza significa rivisitare
un universo di stereotipi e rivedere la propria vita attraverso quella lente di
ingrandimento. Dal punto di vista personale, l’esperienza al Centro mi ha sicuramente
indicato un nuovo modello maschile tramite il quale esprimere aspetti intimi della
mia creatività ed uscire così dalla logica della performance e
dell’investimento di energie esclusivamente sulla parte “cognitiva”. Per me
scrivere vuol dire generare creature simboliche, innanzitutto. Se poi queste
creature cresceranno nel mondo in cui le ho partorite, non dipende solo da me.
Chi sono le persone che hanno ispirato il tuo percorso?
Il
mio professore di filosofia al Liceo molti anni fa, che non smetterò mai di
ringraziare. Alcuni incontri accademici felici, che mi hanno sollecitato ad
andare in the deep, come dice Riccardo, uno dei personaggi del mio
ultimo romanzo, suggerendomi che per imparare la psicologia dovevo leggere
romanzi e guardare film oltre che studiare i manuali. Pochi amici cari, mia
moglie Cristina e i miei figli Davide e Gabriele. Una menzione speciale merita
mio fratello Francesco, attore, che ha curato in modo straordinario i
booktrailer dei miei due romanzi La casa dalle nuvole dentro (ed Amicolibro)
e I Signori del Silenzio (ed Lilitbooks) e con cui è
iniziata una vera e propria collaborazione, con la finalità di creare un’unione
tra letteratura e immagine.
Riteniamo che questa sintesi sia molto feconda e
portatrice di messaggi universali attraverso l’uso di differenti linguaggi e
apra prospettive interessanti in termini di prevenzione e sensibilizzazione
culturale su temi difficili come ad esempio la violenza. Questa esperienza è
maturata e ci ha portato a vincere con il booktrailer I Signori del Silenzio
il primo premio dell’edizione Booktrailer Premium 2018, Cinemaelibri on the
road. Una grande soddisfazione che ci spinge a proseguire su questa strada.
Continuando a rispondere alla tua domanda, imparo moltissimo ogni giorno da chi
crede nel potere della fantasia. Da chi non si imbarazza nel dare voce a un
proprio talento. Sono affascinato dai personaggi che sanno contaminare con un
linguaggio affettivo il proprio lavoro, qualsiasi esso sia. Dall’oste creativo
al poeta di strada. Dal salumiere al falegname artistico. Sono persone che
spesso trasporto in molti passaggi di ciò che scrivo, con un ruolo minore ma molto
romantico e appassionato. Ne sono attratto come una calamita e ritengo siano portatrici
di una cultura verace e genuina. Amo stare in mezzo a loro mentre invece ho un
po’ più difficoltà a frequentare contesti diciamo così, più “correct”.
Cosa ritieni necessario per una generale evoluzione della relazione di
genere? Come mai gli uomini spesso non hanno la stessa spinta emancipativa
delle donne nelle relazioni e nel rapporto con la società?
Domanda
complessa. Vado con qualche idea a ruota libera. Abbiamo bisogno di formazione.
Educazione al bello. Occasioni di ritrovo innovative. Laboratori. Ma in
generale, di un ripensamento globale delle impalcature formali e informali della
nostra società. Il maltrattamento a mio avviso è un effetto di molte questioni
condensate in una. Il permanere di una mentalità patriarcale ma non solo. L’asfissia
dei codici culturali a disposizione, per lo più binari, fondati sul “sei dentro”
o “sei fuori”, anche in luoghi che dovrebbero generare apertura e capacità di
restare in dialogo nell’incertezza. Permettimi a questo proposito una
riflessione generale. Credo che viviamo nell’epoca della paura dell’altro in
tutte le sue forme e la paura è spesso alla base della violenza. Quindi siamo
tutti esposti al rischio di agirla o subirla. Riteniamo di aver fatto molti
passi in avanti in termini di solidarietà e incontro tra le differenze. Se
questo è vero in certi settori, in molti altri casi, soprattutto quando
tocchiamo temi caldi dal punto di vista sociale o complessi come quelli
dell’educazione o della violenza stessa, la cronaca ci dice che le cose non stanno
esattamente così. La crisi economica dell’ultimo decennio è, se vuoi, solo un
lato della faccenda. La crisi ci ha esposti al vero problema che premeva sotto,
che è l’ignoranza affettiva. Le nostre risposte sono state molteplici ma molto
caotiche. Al momento attuale, dietro all’apparente consapevolezza della
necessità di una svolta, percepisco ovunque arroccamenti, anche molto mascherati.
Tutti diciamo che dobbiamo cambiare, ma non ci troviamo d’accordo su come. Ciascuno
ha la propria ricetta per la felicità o la spiegazione della causa per cui si è
infelici. Il risultato è una difesa a priori dei propri “diritti contro” e non
dei propri “diritti insieme”. Litighiamo subito, facendo così danni molto più
grandi del problema che cerchiamo di risolvere. Tornando alla tua domanda,
credo che noi uomini partecipiamo a questa eclissi generale di senso e di
condivisione di un obiettivo comune quanto e come le donne, ma con una fatica in
più. Quella di avere una forte disabitudine a trattare i sentimenti. La
violenza è la punta dell’iceberg. Sotto ci può stare di tutto. Disorientamento,
perplessità, fragilità personali. Dovremmo creare movimenti molteplici di
gestione al maschile dei sentimenti, che sono altra cosa rispetto alle
emozioni. Accompagnare gli uomini nel capire che senza la violenza anche loro
possono stare meglio e sono più liberi.
Cos'è per te la Scrittura?
Molte
cose insieme. Uno sfogo. Una necessità. Un esperimento. Un vero e proprio
lavoro. Un test per capire chi mi vuole bene. Credo che un romanzo sia una
produzione artistica scomoda. Molte persone che incontro non sanno bene come interpretarla.
È il tuo hobby preferito? Il tuo nuovo passatempo? Un gioco? Affatto. Non si
passa il tempo libero scrivendo. Proprio il contrario. La scrittura va alla
continua ricerca del tempo. Penso che in Italia soprattutto ci sia difficoltà a
percepire lo sforzo che sta dietro alla costruzione della narrativa di un certo
tipo, e indipendentemente dal giudizio positivo o negativo su un’opera, l’impegno
degli scrittori dovrebbe essere maggiormente riconosciuto, in tutta la filiera
che segue la pubblicazione di un testo.
Quali sono le autrici e gli autori che hanno lasciato il segno?
Sono
stato un lettore prolifico e disordinato. Ho letto molto, soprattutto in passato.
Spesso sul mio comodino ho tenuto aperti quattro, cinque romanzi
contemporaneamente. Molti non li ho finiti, ma sono lo stesso legato a loro. Mi
hanno dato comunque qualcosa. Credo nella lettura episodica, puntiforme. Ad
esempio, quella che consiste nell’aprire a caso un romanzo e leggerne mezza
pagina. Una lettura non diacronica a volte stimola il cervello destro, aiuta a
farse sintesi e ad associare di più.
Riguardo agli autori che hanno lasciato il segno, la lista è infinita. Dai
grandi classici russi e francesi a Saramago. Tra gli ultimi cito Lispector,
Bunker, DeLillo e McCarty. I romanzi gotici. Pavese. La letteratura horror
americana. Un posto particolare occupa la musica, di cui sono anche modesto
compositore, ma qui il discorso è molto più indietro rispetto alla narrativa. Chissà
un giorno… Sono un fan accanito dei Cure e di tutto il movimento della new
wave, per la carica rivoluzionaria che ha avuto negli anni ottanta rispetto al
modo di fare musica. Ultimamente non riesco più di tanto a leggere, forse
perché ascolto tante storie nel mio lavoro. L’ascolto, quello clinico intendo,
a mio avviso attiva canali simili a quelli della lettura. Bisogna creare ponti,
connessioni, rielaborazioni continue della trama di una vita.
L’ultimo tuo romanzo I Signori del
Silenzio sembra avere una tensione costante tra la memoria, le persone, il
mondo desiderato e quello che ci ritroviamo davanti. Ce ne puoi parlare?
I Signori del
Silenzio
nasce come figlio di La casa dalle nuvole
dentro, che raccontava la storia di un uomo violento con la moglie e del
suo percorso di cambiamento. Lo sforzo che ho fatto è quello di affrontare
alcune tematiche come il malessere giovanile e le problematiche familiari e
sociali connesse alla violenza attraverso una prospettiva più corale. Ne I Signori del Silenzio parlo delle
trappole del silenzio e della negazione che attanaglia molte famiglie. Mi
rivolgo al mondo dei giovani e al tentativo adolescenziale di comunicarci
qualcosa in un codice che spesso non riusciamo o non vogliamo cogliere. Credo
di aver prodotto un lavoro a più stili, sperimentale. Ci sono testi e
sottotesti che si incrociano e da un punto di vista della costruzione è stato molto
stimolante comporlo. Sono partito dall’idea di far scrivere al protagonista
Martino, un ragazzo di sedici anni, un racconto ambientato in un mondo
distopico dove i Signori un giorno
stabiliscono che non si può più parlare e la gente va sottoterra per farlo.
Entrando nella sua famiglia sbilenca, e seguendo le paure dei suoi genitori,
forse si riuscirà a capire qualcosa di più del perché si è messo in testa di
scrivere questo racconto. Probabilmente I
Signori del Silenzio è un’opera più pessimista del primo romanzo, anche se
credo che il mondo desiderato, come tu dici, faccia capolino lo stesso e possa
diventare qualcosa di più che una semplice utopia.
Prossimi appuntamenti?
La
scrittura del terzo romanzo! Spero alcune nuove presentazioni, anche se sai, quando
pubblico un libro è come se subito dopo me ne disinteressassi. Lascio fare a
lui. Ovvio che gioisca per i suoi meriti e soffra per le critiche che riceve e
rimanga male per l’indifferenza con cui viene accolto, ma ho una grossa
resistenza a parlarne, almeno nei termini convenzionali del concetto di
“presentazione”. Vorrei lo facessero gli altri, quello sì. Se vuoi far restare
male uno scrittore, non devi tanto dire “brutto” a ciò che produce; piuttosto,
evita accuratamente l’argomento quando sei con lui, e farai centro. Nel 2019 poi
ho in ponte diverse partecipazioni a convegni e ad esperienze formative
interessanti come ad esempio quella che faremo insieme a Livorno il nove
febbraio, rivolta a danzaterapeute in formazione e finalizzata a riflettere sul
“linguaggio del rispetto” attraverso un’ottica integrata e una metodologia
innovativa. Nel corso della serata seguirà, sempre a Livorno, la presentazione de
I Signori del Silenzio. Mi immagino
sarà una giornata faticosa ma molto arricchente. Penso, in conclusione, che
arte e scienza debbano fondersi e creare un nuovo linguaggio. L’educazione
sentimentale ha bisogno di canali non saturi e credo che le vere alternative
alla violenza si trasmettano attraverso proprio una sperimentazione
intelligente, non ingenua, e creativa. Appena hai un appuntamento dove pensi
sia possibile occuparsi di questo, chiamami e cercherò di essere presente!
Giacomo Grifoni sarà a Livorno
(Centro DanzArte,Via Ricasoli 103, promosso da Associazione Compagnia DanzArte) il 9 e 10 febbraio 2019 per “Gesti
e Parole. Apprendere
e trasmettere il linguaggio del rispetto". Workshop
riconosciuto Formazione Permanente APID, in co-docenza con Simonetta Ottone. Inoltre,
sempre a Livorno, Sabato 9 febbraio 2019 ci sarà anche la presentazione de “I Signori del Silenzio” (LilitBooks) di
Giacomo Grifoni, moderato da Simonetta Ottone. Iniziativa nell'ambito di One Billion Rising 2019, Movimento V – DAY.
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