Vince il Premio Gherardi (2002) con il suo Teatro in Versi, dirige la Scuola Popolare di Teatro di Udine e il Progetto sul disagio mentale "Arte/Società/Follia".
Alessandro
è un viaggiatore, un raffinato esploratore di paesaggi umani. Vive il Teatro e
lo scrive incessantemente, impastato nella carne, accadimento fisico di un
rito, unico e irripetibile. Non è un attore che reciti: quando lo si guarda in scena sembra che la grande
finzione sia la nostra vita stessa, non ciò che esce dal suo teatro.
"Davvero
di gratuità e dismisura d'amore, ha
bisogno il teatro per liberarsi dalle secche di quel narcisismo
autoreferenziale che miete vittime in ogni settore dell'arte e ne paralizza
anche i più ambiziosi slanci creativi; una patologia talmente diffusa da
risultare invisibile, e di cui si prende gioco Alessandro Berti (…)" (Silvia
Guidi, L'Osservatorio Romano, 29 Settembre 2011)
Finalmente
lo incontro: un giovane uomo, magro e sorridente, che trattiene ostinato in sé il
senso d'incanto del ragazzo.
• Alessandro, come ti sei avvicinato al TEATRO e alla sua scrittura?
Ho
sempre scritto. Per il teatro ho scritto, e continuo a scrivere, semplicemente
perché ho studiato come attore, così recitare quel che scrivo è la cosa più semplice.
Ma scrivo un teatro non teatrale, più vicino alla poesia o al racconto.
• Nel tuo lavoro sei venuto in contatto con la TOSCANA?
Alla
fine degli
anni novanta sono stato a Pontedera, prodotto da Pontedera Teatro. E ancora
prima ho studiato a Montalcino e a Rosignano, in quei corsi europei di inizio
anni novanta, memorabili per risorse economiche e per mia totale incoscienza
(ero un allievo assai scostante e polemico).
• Chi sono i tuoi riferimenti, i tuoi Maestri?
Sono
performer, scrittori/ici, danzatori/ici: Leo de Berardinis, Thomas Bernhard,
Jerzy Grotowski, Yoko Muronoi, Ingeborg Bachmann, Uwe Johnson, Eduardo, Claudio
Meldolesi, Tatsumi Hijikata, Kazuo Ohno, Luisa Muraro.
• Ci sono anche donne; me ne parli?
Yoko
Muronoi è una danzatrice butoh giapponese, in tre giorni mi ha insegnato a
coniugare ricerca spirituale e ricerca espressiva: una maestra ineguagliabile.
Vive in un'isola sperduta, in Giappone, coltiva un orto, e una volta al mese va
a Tokio a dirigere un laboratorio, coi soldi del quale si mantiene il resto del
mese, in contemplazione. Ingeborg Bachmann è una scrittrice che ha espresso una
misura memorabile tra poesia e prosa: un modello. Anche rispetto alla durezza
con cui tratta le proprie radici, quell'Austria intrinsecamente autoritaria che
ricorda l'Italia fascista, che secondo me non è ancora del tutto assente dai
nostri modelli culturali inconsci.
Luisa
Muraro è una femminista che a un certo punto ha capito che la mistica è stata,
per le donne, un terreno di rivoluzione e emancipazione, e nello scrivere ha
uno stile concreto, anche se molto complesso e culturale, stile che è per me
riferimento, come anche il nodo di temi che tratta.
• Cosa pensi del rapporto donna e teatro? Trovi che le donne siano in posizione
subalterna rispetto agli uomini, che rispondano sempre al ruolo di musa o
interprete e raramente a quello di autrice e creatrice? Ci sono in Italia donne
autrici da ricordare in questo senso?
L'Italia
è un paese ancora profondamente machista. In ogni campo. Alla Scuola dello
Stabile di Genova, vent'anni fa, le ragazze dovevano imparare le parti da
maschio. C'è un pregiudizio di fondo non solo riguardo all'intelligenza delle
donne (ridicolo ma storicamente forte), ma anche riguardo all'emozione, terreno
nel quale, pur in modo stereotipato, una società maschile dovrebbe lasciare
qualche spazio. Il teatro, esperienza che prevede una sintesi tra intelligenza
e passione, corpo e ragione, potrebbe essere un luogo ideale di un'integrazione
maschile-femminile. Ma il teatro di un paese nasce dalla sua cultura, e la
cultura italiana rimane molto tradizionale in fatto di immagine della donna.
Sulla scena italiana però ci sono molte donne autrici: Ilaria Drago e Emma
Dante nel teatro; Michela Lucenti, Silvia Rampelli, Francesca Proia, Alessandra
Cristiani nella danza; Nhandan Chirco nella performance. Ce ne sono molte
altre, queste sono solo le prime che mi vengono alla mente.
• Quanto è difficile oggi il mondo del Teatro?
Per
me il mondo del teatro è sempre stato difficile: sono precario da vent'anni.
• Cosa vuol dire promuovere operazioni culturali indipendenti?
Vuol
dire essere vivi, perché essere vivi significa seguire la propria vocazione in
modo del tutto incurante del contesto. Certo, vuol dire anche non poter accedere
a un mutuo: confidiamo in una qualche eredità.
• Che spazio ha attualmente in Italia il teatro contemporaneo?
Uno
spazio piccolissimo, infinitesimo. Ma il Vangelo insegna che il regno dei cieli
è come un seme di senape.
• Che sistema ci manca rispetto a altri paesi europei?
Personalmente
trovo il sistema europeo troppo protettivo rispetto alla cultura, come il
nostro è troppo indifferente o addirittura sprezzante. Ci vorrebbe una via di
mezzo tra il paternalismo continentale, che addormenta, e la volgarità
italiana, che deprime o rende isterici.
• Nei Centri di produzione e distribuzione teatrale, il piano decisionale è
maggiormente ricoperto da figure femminili o maschili?
Sono
fuori dal giro da molti anni. Siccome ultimamente nei miei spettacoli parlo di
mistica, i miei interlocutori sono uomini di chiesa, perlopiù. Nella Chiesa
italiana e attorno ad essa, un ambiente dove la donna ha un'immagine anche qui
tradizionale, ho però fatto degli incontri molto belli con donne dalla
personalità forte e dall'intelligenza notevole. Penso ad alcune teologhe come
Rosetta Stella, Cettina Militello, o alla giornalista Silvia Guidi.
• Trovi che la società in cui viviamo sia violenta nei confronti delle donne? E
perché? C'è una sperequazione di potere e opportunità fra i due generi?
Il
problema è sempre nell'immaginario, e l'immaginario deriva dall'educazione, e
l'educazione è perlopiù quella che ricevi in famiglia. Come cantava Giovanna
Marini: 'è
una lunga catena da spezzare'. La violenza di genere nasce da un'educazione
che non è altro che la trasmissione di modelli astratti, oggettivamente
portatori di conflitto. Questi modelli costringono uomini e donne dentro
un'immagine di sé completamente avulsa dalla realtà, dove il femminile e il
maschile, che pure esistono e sono diversi, potrebbero trovare un accordo meno
schematico, più fluido, insomma più naturale. Anche nella natura c'è violenza,
ma la violenza di genere credo piuttosto nasca da una perversione della natura,
una perversione che viene da una educazione a vincere, a prevalere sugli altri,
a farcela contro tutti e su tutti. Ovviamente questo modello è stato trasmesso
principalmente ai maschi, ma spesso anche le donne vincenti faticano a
intaccarlo, a esserne immuni. Solo la politica delle donne, la politica del
desiderio, quella parte del femminismo che si è evoluta in coscienza di genere,
ha detto parole chiare a riguardo. Siamo molto indietro e il problema è che
spesso anche torniamo molto indietro. Nessuna acquisizione storica è per
sempre.
• Cosa significa per te la paternità o l'assenza di paternità?
La
paternità è arrivata nella mia vita in modo del tutto inaspettato e l'ha
cambiata radicalmente. Credo sia un'esperienza fondante. Non lo dico solo in
senso positivo, non idealizzo nulla: la realtà nella sua pienezza ha un sapore
forte, nel bene e nel male. Mi sembra che la società occidentale sia troppo a
misura di adulti singles, eterni adolescenti che saranno vecchi annoiati, con
tutto quel che comporta in termini di infantilismo sociale, distruzione
ambientale, mancanza di responsabilità, incoscienza rispetto ai problemi reali.
Ovviamente anche molti padri rientrano in questa categoria, ma per fortuna
molte donne non lo permettono più così facilmente.
• L'essere un lavoratore autonomo e indipendente di un settore in Italia così
fragile, che conseguenze ha sulla costruzione di un progetto di vita e
familiare?
Non
ho mai pensato che avrei dovuto prima essere in una situazione economica
stabile per poi fare dei figli. Credo che il nostro sia un precariato protetto,
perché i soldi ce li hanno i nostri genitori, la generazione che ce l'ha fatta.
Quindi bene o male mio figlio, sarà tutelato dai soldi dei nonni.
• Che importanza hanno nella nostra società la cultura e in particolare il
Teatro?
La
cultura è vista come un prodotto di consumo, anche a sinistra. Siamo lontani
dall'idea di cultura come educazione del popolo, idea che animava il PCI e
parte della DC (penso a riviste come Il Politecnico, Comunista, o Cronache
Sociali, Cattolica, che dopo la guerra sono state un faro in questo senso).
Oggi, anche in Europa, la cultura è consumo. E' per questo che l'importanza che
la cultura ha in Europa non mi attira per niente, perché è l'importanza di
un'area di consumo. Bisogna ripartire dalle scuole, dall'educazione, e da
ideali anti-borghesi. Il problema è che non tutto quel che è anti-borghese è
buono. Anche il fascismo è anti-borghese, per dire. Invece il cristianesimo,
che è quanto di più anti-borghese ci sia, spesso si è alleato con la borghesia,
tatticamente. Questo papa lo sta ridando al popolo. Qualsiasi esperienza di
condivisione pratica tra umani, vissuta senza gerarchie, liberamente scelta e
portata avanti, qualsiasi esperienza comunitaria, anche effimera, che per un
tempo e in un luogo unisce le persone attorno a un fine più ampio che il
proprio benessere individuale o familiare, è destinata a creare più cultura che
un insegnamento nozionistico che porta all'agonismo tra soggetti, in vista di
una vittoria individuale.
• Prossimi appuntamenti?
Prestissimo,
Venerdì 22 Maggio alle ore 21 sono a Bologna, Borgo Panigale con "Un
cristiano", monologo di guerra su Monte Sole, i nazisti, i fascisti e lui,
Don Giovanni Fornasini, un Prete che poteva, ma non volle salvarsi: vivere
serve a fare qualcosa di buono per qualcun'altro.
(nelle
foto Alessandro Berti e Yoko Muronoi)
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