domenica 21 settembre 2014

Simonetta Ottone

Da oggi collaborerò a questa rete-blog, mandando dalla Toscana il mio sguardo - e al mio, spero, si unirà quello di tante altre. Vengo dalla danza. E' il mio luogo di partenza, e il mio luogo di approdo. Un luogo dell'arte, della sensibilità, della cultura - dunque anche della politica - da cui desidero dare il mio contributo a cambiare l'Italia di oggi: in cui sono eccezioni i primari donna negli ospedali, rettori e docenti donna nelle università, direttori d'orchestra donna nella musica, registe nel teatro e nel cinema. Perché? 
Perché non abbiamo mai avuto un Presidente del Consiglio donna? E perché è normale che l'ammortizzatore sociale del sistema-paese sia la donna? La mia finissima lingua, quando vuole riferirsi all'universale, è declinata al maschile. Perché? E perché i figli prendono solo il cognome del padre?
Striscianti, infinite forme di violenza scaturiscono dal nostro modo di concepire la società italiana. Striscianti, infiniti pensieri si muovono danzando.
Nel mondo una donna su tre, nel corso della vita, sarà picchiata, rapita, uccisa, o in altri modi violata e ciò - in ogni classe sociale, culturale e religiosa, e quasi sempre per mano di uomini di famiglia. 
In Italia Abbiamo il più basso livello europeo di occupazione femminile, il più basso numero di maternità e di figli, la più larga diffusione di un'immagine femminile maschilista, ridicola e oltraggiosa nei media. Mancano Centri antiviolenza, leggi valide sullo Stalking, ma si chiudono consultori e si smantellano Leggi di Stato in enti pubblici (L.194). Qua si ritiene naturale che le donne vivano in un perenne stato di intimidazione e la violenza viene esercitata in primis attraverso l'umiliazione dell'impotenza.
Continuo a danzare, ogni giorno, in tanti posti, da sola, con gli altri, con tanti altri.
Il mio paese ha paura della libertà delle donne. Il mio paese ha paura di me.
Ormai è una certezza: lo vedo continuamente, in ogni conversazione, fatto, relazione. Nessuno sembra accorgersene. Deve essere una cosa che non si deve dire.
Io, dicevo, vengo dalla danzaAlla danza ho affidato il desiderio di innamorarmi, continuamente, di sapermi abbandonare. Questo richiede estremo rigore. Poi ho incontrato la parola, rifocillandomi nei libri e incarnandola in teatro. Alla parola ho affidato il mio bisogno di racchiudere, nominare, saper penetrare la realtà che mi circonda. Ho iniziato con la danza classica, ma il mio corpo l'ha in parte assimilata, in parte rifiutata e il mio cuore batteva poco per tutte quelle aspiranti Giselle, un po' tristi e anemiche, che mi circondavano.
Danzatrici americane mi hanno iniziato alla Danza Moderna: "Good girl! You must feel, you must dance with your vagin! Dance arrives from vagin! Don't you know it?". Io ci ridevo su, cercavo di sentire, e danzavo. Loro erano della Scuola di Marta Graham di New York e sapevano i segreti, pensavo io ragazzina. Poi l'ho studiata e ho capito chi era, questa Marta Graham.
La Modern Dance l'hanno inventata, diffusa e gestita le donne. E che donne.
Nei primi del Novecento presero il nuovo secolo per le corna e affermarono a tutto campo la loro presenza nel mondo della danza e della cultura che fino allora era stata regolamentata da uomini. Portarono alla ribalta le capacità gestionali, oltre che artistiche delle donne, rimettendo di fatto in discussione le differenze di genere, da sempre ritenute immutabili. Nella cultura occidentale c'è il corpo da una parte e la mente dall'altra: il corpo è donna, la mente è uomo. La danza, in quanto arte del corpo, si prestava al femminile ma la sua teorizzazione, gestione e promozione al maschile. Queste artiste fecero ciò che per gli uomini era davvero imperdonabile: osarono porsi come autrici, creatrici in prima persona e non interpreti di disegni e costruzioni maschili. Non era più lo sguardo dell'uomo a plasmare l'immagine del corpo femminile, ma per la prima volta le donne rappresentavano sé stesse e il mondo, nel pieno della loro soggettività esposta al pubblico.
Pagarono prezzi molto alti per questo: furono ostacolate, derise, diffamate, boicottate, imbrogliate, emarginate. Il mondo ufficiale della cultura le considerò delle eretiche e delle "divoratrici", e loro si fecero offendere, perseguitare e arrestare,  ma continuarono a danzare. Liberarono sé stesse attraverso il corpo, spogliato dai rigidi abiti pensati e imposti dagli uomini. I loro corpi non erano immagine, non compiacevano il desiderio sessuale maschile, ma erano corpi espressivi, originali, soggetti pienamente pensanti e agenti. E per niente addomesticabili.
Il mondo dell'arte fu attratto da tutto questo e la Danza ispirò e influenzò tutte le avanguardieMarta Graham nacque come pioniera di seconda generazione della Danza Moderna; fondò una compagnia di quasi tutte donne, che ricoprivano tutti i ruoli principali e inventò una tecnica di movimento che prevedeva l'uso di un corpo forte, vigoroso, spigoloso. Il movimento partiva dal basso ventre, il pube appunto, ove si concentrava l'energia sessuale. Tecnica molto faticosa da danzare, fortemente strutturata, che tirava fuori l'assertività e anche la nostra parte maschile.
La Graham aveva tre grossi difetti per il suo tempo: era donna, nera e ballerina. Gli sforzi che compì nella sua lunga e impegnativa vita contribuirono a costruire l'identità e lo spirito della nascente società americana, rendendola un'intellettuale protagonista e indiscussa dell'intero XX° secolo. Tutto questo ebbe costi altissimi per lei: Marta Graham rinunciò alla maternità, perché se una donna creava in arte, non poteva creare anche nella vita.
Quest'anno sono quasi trentacinque anni che danzo e faccio danzare gli altri. Tutti gli altri: bambini, ragazzi, adulti, anziani, persone malate, violate, "deviate", detenute. E tante, tante donne. Un fiume, che scorre costante come vorrei continuasse il mio impegno per loro.
Sono stata diretta, come danzatrice e attrice, sia da donne che da uomini. Ho scritto qualche articolo in riviste d'arte e cultura, e un libro sui miei amici "tossici", uomini i più, dal titolo "Danzare il Simbolo. DanzaMovimentoTerapia nel mondo tossicomane" (Edizioni Creativa).
Numerose sono le coreografie che ho creato su personaggi femminili e ho scritto diversi spettacoli su storie di donne: "Vendute", sulla condizione femminile in certo Islam, "A Voce Alta", ispirato alla storia di Ilaria Alpi, con Aun San Suu Kyi come idea - guida, "Tua" sulla violenza di genere, tratto da storie vere.
Ho raccolto tante testimonianze, interviste, documenti, ma anche sguardi, gesti, intenzioni. Ho seguito una formazione per volontaria di Centro Antiviolenza, ho curato un flashmob contro la violenza sulle donne, a Livorno, città vicino alla quale abito.
Sono madre di un ragazzino di undici anni, che amo: educare un futuro uomo, destrutturando stereotipi, è un lavoro bello e arduo. Ma con il padre che ha, ci sono buoni presupposti per riuscirci.
Ho iniziato a lavorare neanche maggiorenne, e sono tuttora una "lavoratrice fragile", sia per la natura del mio lavoro, che per il settore di riferimento: per un'autonoma del massacrato comparto italiano della cultura vivere, avere e crescere un figlio è un'inammissibile velleità.
Vorrei un luogo dove le donne possano raccontare il mondo visto con i loro occhi. Che sono così diversi da quegli degli uomini.
C'è bisogno di studiare la nostra storia, che non è quella universale, cioè degli uomini, ma la nostra, quella delle nostre scrittrici, artiste, scienziate, rivoluzionarie. E quella dei milioni di donne che hanno subito una storia che non hanno scritto e dalla quale sono state cancellate. Quella che non si trova ancora nei programmi ministeriali dell'istruzione.
C'è bisogno della nostra intelligenza, che ci porti a stare nel mondo per il mondo. E questo luogo virtuale del blog, può aiutarci a raccoglierci, a creare un archivio del pensiero delle donne, che poi potrà uscire nel reale, organizzarsi, diffondersi in luoghi fisici, in patrie condivise.
Serviamo solo noi, che ci poniamo come autrici della realtà che raccontiamo; servono donne che parlino,  scrivano, danzino, denuncino. La nostra cultura sarà quella del servizio, della gratuità, della dedizione e del dono, come in una gestazione. La gestazione di un Corpo Politico, che si fa forte delle differenze, per individuare e creare i punti di unione, per provocare un cambiamento e guardare orizzonti, grandi.
Se l'orizzonte è grande quando poi scenderemo nel concreto, la posta sarà più alta.
E noi saremo pronte.
Simonetta Ottone

2 commenti:

  1. Mi dispiace notare che molte ragazze non sappiano cosa significhi femminismo ignorando le lotte delle loro madri e nonne per raggiungere traguardi adesso dati per scontati. Ma la cosa che più mi dispiace, nelle giovani e meno giovani, è il disinteresse diffuso verso i problemi delle donne, e quindi anche ai loro, con la mancanza di aspirazione a voler cambiare le cose. C’è un’apatia strisciante. Oramai, se una donna viene massacrata di botte dal marito, accoltellata dall’ex, stuprata dai coetanei e, chi più ne ha più ne metta, non fa più scalpore, come d’altronde, sembra normale che una donna svolga lo stesso lavoro di un uomo e guadagni meno, oppure che venga licenziata perché aspetta un bambino. Ci sarebbe da scrivere un poema sui problemi delle donne. Ho l'impressione che invece di fare progressi stiamo andando a ritroso.
    Il termine femminismo, a mio parere, oggi è stato snaturato, purtroppo si associa a un semplicistico "essere contro gli uomini", ma non è questo il suo significato originario. Il femminismo è nato per cercare di azzerare le ingiustizie e le oppressioni sulle donne, per ottenere una parità in ogni campo, anche con l’apporto maschile. Per questo è indispensabile cercare di cambiare la mentalità degli uomini, come dice giustamente Simonetta, a partire dai nostri figli, educandoli a un maggiore rispetto e abolendo ogni discriminazione di genere.
    Mi auguro che le donne entrino sempre più numerose in politica e si possa realizzare una giusta uguaglianza.
    In bocca al lupo Simonetta!

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    1. Grazie Silvia! Parlarne, scrivere, agire, dare l'esempio è un nostro dovere verso le nuove generazioni. Io questa fortuna l'ho avuta da chi è nato prima di me.

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