For Women For Mothers For All of Them
Cairo, Ottobre 2023.
Non è facile guardarle negli occhi.
La guerra si è messa tra noi.
Eppure, anche quando abbasso il mio sguardo, loro non mi incalzano, continuano a guardarmi interrogative, incredule, non mi giudicano; sono spesso sul punto di piangere, interrompono gli incontri per rispondere ad amici, parenti e colleghi nelle zone di guerra.
Nessuno riesce a scappare da Gaza; le ragazze a momenti sono nel panico, guardano il telefono: negli audio si sentono fischi di bombe, esplosioni, urla. Piangono in silenzio.
Al Cairo ogni giorno in diverse aree della città va via l’elettricità per 2 ore, per via della guerra, con tutte le conseguenze che ne derivano in un paese di 100 milioni di persone. È difficile lavorare in questo modo, i generatori non si trovano più. Lavoriamo con le candele, non ci fermiamo.
Amici giornalisti vengono fermati a Rafah, insieme ai convogli di aiuti umanitari, Israele non fa entrare nessuno per nessuna ragione, neanche umanitaria.
Dilaniate dall’impotenza, non possiamo fare niente.
Possiamo solo provare a dare una forma, nei modi che conosciamo, a un dolore che diventa ogni ora più grande.
My Country
Video con: Simonetta Ottone, Dalia El Abd, Heba Korashi.
Video Direction: Ashraf Tawfik
Concept: Simonetta Ottone e Ashraf Tawfik
Loro continuano a chiedermi perché.
Chiedono a me che vengo da un’Europa oggi rinnegata fin dalle fondamenta, che anziché essere un avamposto di civiltà per “la pace, per la libera circolazione di merci e persone”, come ci avevano detto a scuola, è in realtà un luogo dove le persone sono diventate cittadini di serie Z, che non hanno alcuna voce in capitolo nella politica del loro paese, né la dignità di appartenere concretamente ad una comunità che si possa chiamare tale.
La nostra cultura sta accettando che ci siano in questioni cruciali più pesi e più misure, a seconda della lobby (politica e finanziaria soprattutto) che conviene allo status quo; sta accettando anche che a seconda della nazionalità e dell’etnia di provenienza possiamo avere il diritto di vivere o morire.
Sono cresciuta durante la guerra fredda “in casa”, ora “in casa” siamo in piena guerra calda.
Figlia del “sogno europeo”, sento che invecchierò insieme alla mia generazione, in un sogno al contrario, distopico rispetto a quel periodo in cui pensavamo che il bello dovesse ancora arrivare.
Sento che non avrò abbastanza tempo per lasciare a mio figlio un mondo più ospitale, almeno un poco più simile a come l’ho trovato io.
Davanti a queste ragazze incantate dal mito dell’arte e della cultura italiana, mi vergogno del mio occidente, e sto male.
Sto male ad essere associata ad una politica che non solo non rispetta le Costituzioni di tutti i paesi europei, quella bellissima del mio paese, quella dell’Unione Europea, un tempo nata per ripudiare la guerra, tanto da non avere un esercito.
Come siamo potuti diventare una tifoseria a cielo aperto?
Come possiamo essere complici di tutto questo?
Spiego a queste donne egiziane, umiliate, offese, prostrate, che io non sono d’accordo, che vorrei non appartenere a chi nel mio paese, istituzioni in testa, in un conflitto complesso e di lunga data come questo, appoggia incondizionatamente una sola parte, senza provare a fare ciò che la nostra civiltà dice di averci insegnato: la mediazione, la moderazione, il rispetto, i diritti umani.
Sono passati tre mesi, ora.
Per avere notizie di ciò che sta succedendo realmente devi cercare informazioni fuori dall’Europa, con chi è in contatto reale con quelle zone: la nostra stampa ripete solo la stessa notizia con lo stesso punto di vista, cambiando al massimo la lingua.
Ci siamo ammalati di controllo e censura (ancora più distruttiva perché coperta e indiretta), siamo divenuti per “quieto vivere” fedeli alla linea, anche quando questa linea è quanto di più lontano da ciò che crediamo di essere.
Intanto, la guerra nella Striscia di Gaza continua, registrando una serie di crimini di guerra e numeri senza precedenti a tutti i livelli. Con questa guerra, Israele aggiunge al suo sanguinoso passato altra violenza, prendendo di mira tutti i civili palestinesi per ucciderli e spingendo il resto di loro ad andarsene.
Dal 7 ottobre, la guerra ha provocato la morte di più 21.000 palestinesi, tra cui 9000 bambini e quasi 7000 donne, oltre 56.000 feriti, la maggior parte bambini cui sono state provocate mutilazioni e lesioni permanenti: se vuoi colpire un popolo, riempilo di figli e familiari invalidi.
Questa non è una guerra, è un genocidio in mondovisione.
Gaza è stata distrutta al 90%.
La gente sta morendo di fame: è una catastrofe umanitaria senza precedenti.
L’ex relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi, Michael Lynk, ha dichiarato: “Il volume delle morti civili palestinesi in un periodo di tempo così breve è il più alto tasso di vittime civili nel ventunesimo secolo”.
Mentre la popolazione civile, in particolare i bambini, affronta vari tipi di attacchi e violazioni, il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF) ha affermato che "la Striscia di Gaza è diventata il luogo più pericoloso al mondo per i bambini", alla luce del prolungamento dell'aggressione di occupazione israeliana contro di essa.
La Striscia di Gaza è il posto più pericoloso al mondo per le donne: Action Aid International ha dichiarato in un rapporto pubblicato il 10 dicembre che le donne e le ragazze a Gaza subiscono livelli di violenza senza precedenti durante l'escalation militare israeliana sulla Striscia.
Ha spiegato che le cifre dipingono un quadro "palese e scioccante, in un momento in cui due madri vengono uccise ogni ora a Gaza e sette donne ogni due ore, poiché quasi 7000 donne sono state uccise dallo scorso 7 ottobre, donne e bambini hanno rappresentato circa il 70% del numero totale di vittime".
L'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA) descrive il 2023 come il "più letale" in Cisgiordania, da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare e documentare il numero di vittime delle pratiche dell'esercito israeliano e dei coloni in Cisgiordania, nel 2005.
Israele sta conducendo una guerra ai palestinesi in Cisgiordania e all'interno della Linea Verde, per sopprimere e mettere a tacere qualsiasi forma di espressione dell'identità palestinese collettiva e per rendere i territori palestinesi occupati invivibili per i palestinesi.
Il ricercatore e specialista negli affari di Gerusalemme, Fakhri Abu Diab, afferma che il 2023 sia uno dei peggiori anni che sono passati per Gerusalemme occupata: "Sono nato a Gerusalemme e ora ho 62 anni, e ho lavorato come ricercatore sul campo per molti anni, ma non ho mai visto la città così prima, specialmente sotto l'attuale governo israeliano, il più estremo che ha messo la giudaizzazione di Gerusalemme in cima alla sua agenda".
Abu Diab sottolinea che le autorità israeliane hanno eseguito 265 ordini di demolizione per le case a Gerusalemme e la gente della città è stata costretta a pagare un totale di 52 milioni di shekel (14,4 milioni di dollari) per "violazioni della costruzione" fino alla fine dello scorso novembre. Abu Diab afferma che queste politiche mirano a svuotare la città della sua gente per creare un nuovo equilibrio demografico a beneficio dei coloni all'interno del piano di "ripristinare la città" nel senso di giudaizzarla completamente.
Le istituzioni dei prigionieri (l'Autorità per gli affari dei prigionieri e degli editori, il Club dei prigionieri palestinesi, la Fondazione Addameer per la cura dei prigionieri e i diritti umani e il Centro Wadi Hilweh - Gerusalemme) hanno pubblicato un documento speciale sui crimini e le violazioni totali commessi dall'occupazione dopo il 7 ottobre. Il documento evidenzia le campagne di arresto in corso in Cisgiordania, tra cui Gerusalemme e gli orribili crimini che le accompagnano, nonché la realtà dei prigionieri all'interno delle prigioni dell'occupazione israeliana: i crimini, la tortura e gli abusi sistematici a cui sono sottoposti e le misure di ritorsione che hanno influenzato tutti gli aspetti della loro vita, compresa la politica della fame e il diniego ad essere difesi a livello legale.
Da parte sua, l'Euro-Mediterranean Human Rights Monitor ha invitato la comunità internazionale a fare pressione su Israele per rivelare il destino di decine di donne che sono state arrestate dalle loro case e dai centri di asilo e per porre fine al caso di sparizione forzata.
Secondo l'osservatorio, l'esercito israeliano continua ad arrestare dozzine di femmine, tra cui donne anziane, madri con i loro bambini e ragazze minorenni, tutte soggette a condizioni di detenzione raccapriccianti.
L’Osservatorio ha chiesto un’indagine internazionale imparziale e urgente sulla liquidazione dei civili palestinesi da parte dell'esercito israeliano dopo il loro arresto da diverse aree della Striscia di Gaza. L'Osservatorio ha sottolineato che le testimonianze raccolte coincidevano con ciò che è stato rivelato dal quotidiano ebraico Haaretz per quanto riguarda i crimini di esecuzione sul campo commessi contro i detenuti, mentre altri sono morti a causa di gravi torture e maltrattamenti in un campo militare noto come "Sedeh Timan", situato tra le città di Beersheba e Gaza nel sud, che è stato trasformato in una nuova prigione "Guantanamo" in cui i detenuti sono costretti in condizioni molto difficili, rinchiusi in delle gabbie all'aperto, senza cibo e acqua per ore e ore.
La Wall Resistance and Settlement Commission ha documentato le deportazioni forzate di famiglie beduine palestinesi, causate dalle misure di occupazione diretta e dal terrorismo delle milizie di coloni in Cisgiordania, approfittando delle leggi di emergenza e di guerra che li proteggono dalla responsabilità e dalle punizioni.
Il numero di giornalisti martiri nella Striscia di Gaza è salito a più di 100.
Secondo il Sindacato dei giornalisti palestinesi le incursioni israeliane hanno distrutto il quartier generale di 63 istituzioni e uffici stampa e hanno interrotto il lavoro di 25 stazioni radio locali, una delle quali era in Cisgiordania, e gli arresti di 43 giornalisti, di cui 41 in Cisgiordania e due a Gaza, 30 dei quali sono ancora in detenzione.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha confermato che 136 membri del personale delle Nazioni Unite a Gaza sono stati uccisi dal 7 Ottobre, sottolineando che “è qualcosa che non abbiamo mai visto prima nella storia delle Nazioni Unite".
In un periodo buio per le sorti dell’umanità, in una grande parte di mondo, quella araba e mediorientale colpita da un dolore collettivo lancinante, nell’assenza di confronti simmetrici con un occidente divenuto tanto ostile, non è facile veicolare, nelle forme che conosciamo, l’idea della speranza.
Tuttavia, il nostro lavoro ci concede l’onere e l’onore di diventare testimoni e “ponti”.
E forse è per questo che, come nella danza palestinese Dabka, stiamo imparando con loro a spingere i nostri piedi nel fango scivoloso, a batterli fino a che il tetto dei nostri sogni tornerà a custodire le nostre case, le nostre comunità, le nostre tradizioni, il nostro futuro.
Ricerca fonti in collaborazione con Ashraf Tawfik
Grazie a tutte le donne che danzano con noi, a Dance To Live Egypt Program, Danssabeel Cairo