di
Simonetta Ottone • Pina
non ha bisogno di presentazioni.
Gaia
Seghieri, Architetta, è una donna che si è misurata con un ambiente di lavoro
fortemente caratterizzato dal modus operandi maschile, e ha cercato di mantenere
tuttavia una visione artistica e personale. Gaia ama la danza come espressione
in movimento dell’architettura umana, al servizio di un’idea
di centralità del rapporto tra uomo e spazio. Gaia entra nel vivo, e parla di lei, di Pina Bausch e del suo rapporto con lo spazio.
“Nel
2011 Wim Wenders ha voluto rendere omaggio ad una delle più importanti
coreografe, e danzatrici contemporanee: Pina Bausch (Solingen,
Germania, 27 luglio 1940 – Wuppertal,
Germania, 30 giugno 2009),
attraverso un film/documentario che ho avuto occasione di vedere poco tempo
fa.
Al termine del film mi sentivo molto nutrita,
e completa, sensazione che provo ogni qualvolta vedo, sento o tocco un qualcosa
che ha lasciato un piccolo seme di cambiamento dentro di me, può essere un
opera d'arte, una canzone, un testo letterario, un paesaggio, un gesto, uno
sguardo.
Una
delle cose che mi hanno più colpito del film, oltre alla bravura dei danzatori,
sono stati l'architettura ed il paesaggio affrontati in modo così diverso da
Pina, in modo così non convenzionale. Mi sono sempre interessata alla danza, e
per alcuni anni ho partecipato a corsi di teatro danza, ma per me questa
passione era un qualcosa che si limitava allo spazio teatrale, ed anche nel
momento in cui poteva uscire fuori dal teatro, nella mia mente, questa
disciplina, rimaneva inclusa in una bolla protettiva, che non aveva niente a
che fare con la vita ordinaria.
Ed
invece non è così, la danza ed il movimento creano lo spazio, un piccolo movimento
del danzatore trasmette una vibrazione diversa della materia di cui lo spazio è
costituito.
Pina
faceva muovere i suoi danzatori negli spazi urbani e periferici della cittadina
tedesca di Wuppertal, dove ha ancora sede la sua compagnia di teatro-danza, e
qui ogni angolo veniva riutilizzato per creare una relazione di armonia tra la
danza e gli edifici, tra il movimento ed i mezzi urbani, tra il corpo umano ed
i materiali che compongono i palazzi e le strade, investendo di una nuova
luminosità luoghi, dove di luce ce ne è piuttosto poca, o dove la neutralità
degli spazi e dei colori non rimanda di certo ad ambienti solari e calorosi. Ma
il movimento ideato da Pina trasforma lo spazio urbano, generando quadri
dinamici, immagini che ci riportano ad un uso diverso, e sicuramente onirico
del luogo, dello spazio, della città.
Tanti
sono gli spunti di questa opera densa che è il film: un vero atto d’amore
di Wenders per l’arte di Pina Bausch. Un
uomo che interloquisce con una scala mobile, nel centro cittadino, disegnando
cerchi danzanti nell'aria, seguendo con i piedi il movimento continuo dei
gradini rotanti, proiettando un'immagine poetica che si allontana dalla visione
grigia, smorta, e fissa di una semplice scala mobile.
Quattro
sedie ed un tavolo posizionati lungo un torrente, in un bosco al di fuori della
città, dove una donna seminuda abbraccia un tavolo di vetro, nell'atto di avere
un ultimo momento di intimità. Nella Schwebebahn,
la tipica ferrovia monorotaia sospesa a 8 metri da terra e a 13 metri dal fiume
Wupper, una ballerina in abito da sera entra in uno dei vagoni, ed inscena,
attraverso rumori e movimenti meccanici, una dolce lotta con il suo cuscino,
che alla fine sistemerà su di una seduta; nessuna delle persone presenti
all'interno del vagone la guarda, come se non esistesse, proprio come in un sogno.
Danzatori
in abiti da sera, uno dietro l'altro in fila indiana, percorrono lo spazio
urbano della città, scrivendo con i gesti le quattro stagioni, sotto un raro
sole tedesco, trasmettendo un’ atmosfera dolce e serena. Lo spazio di una piscina coperta viene
rivisto, e rimodellato dalla danza sensuale e iniziatica di una giovane
danzatrice: attraverso gesti semplici ed amplificati l'ambiente acquista un
nuovo significato, e la quotidianità trova la possibilità di essere vissuta in
modo totalmente diverso.
Nello
stabilimento industriale Zollverein una donna mette carne nelle sue scarpette
da ballerina, per poter danzare sulle punte, in un ambiente che trasuda
abbandono e trascuratezza, la sua danza catalizza l'attenzione dello spettatore
ed i grossi blocchi cementizi, e le tubazioni ferrose si trasformano in un
castello, come in una favola.
In
un incrocio stradale, sotto la ferrovia sospesa, una coppia di danzatori
trasforma l'aiuola urbana in un giardino incantato dove il loro amore nasce, si
sviluppa e termina. All'interno
di una struttura completamente in vetro, in un bosco dedicato alla mostra di
sculture, i danzatori trasformano lo spazio espositivo in un punto di incontro,
dove le emozioni esplodono in tutta la loro pienezza. Negli spazi consequenziali
di un capannone industriale, due danzatrici, l'una danzando con il pavimento,
l'altra gettando terra e sabbia sulla prima, riescono a riempire con la
reiterazione dei loro gesti, spazi troppo immensi. In
una ex cava, alla periferia della città i danzatori in fila indiana continuano
la loro iniziale camminata urbana, proseguendo in un paesaggio lunare e
desertico, aggiungendo note di colore ad un paesaggio non più vissuto.
In tutti questi passaggi è come se
l'architettura non fosse più fatta di materiale solido, ma riuscisse ad
acquisire una nuova sostanza, che insieme alla coreografia traccia una nuova
scrittura scenografica, concepisce relazioni tra uomo ed ambiente dove non vi
sono, dona la possibilità di avere lampi di luce in aree completamente in
ombra, esalta emozioni e sentimenti ordinariamente compressi, dona la facoltà
di ispirazione in qualsiasi situazione e luogo.
E
donne e uomini riescono finalmente a dialogare".