martedì 25 aprile 2017

Danzare il Simbolo. Quando il ricordo di sé può liberare

di Simonetta Ottone • Una dimensione maschile e femminile, quella della tossicodipendenza.
Uomini che “amoreggiano” con la loro amante, la sostanza, che sa come sedurre loro, farli abbandonare. O donne che trovano in lei la loro “cattiva madre”, che odiano, ma che soprattutto amano, perdonandola e cercandola sempre.
“Sono più forti le donne. Per un figlio riescono anche a chiudere con la roba. Sono più fortunate di noi”, dicono in questi gruppi a prevalenza maschili con cui ho lavorato per anni.
Da quando ho scritto “Danzare il Simbolo. DanzaMovimentoTerapia nel mondo tossicomane”, è successo che questo lavoro  è stato letto da tante persone e ha accompagnato la formazione di numerosi studenti di DanzaMovimentoTerapia, poiché adottato in varie Scuole italiane, che ringrazio.

Utilizzato anche da chi interessato semplicemente alla Relazione di Cura e di Aiuto, molti di Voi mi hanno fatto domande, inviato interviste, o sono passate dai miei incontri.
So che sono state scritte tesi che hanno utilizzato questo testo, come elemento di studio o  addirittura di partenza, sia in Italia che all’estero.
Me ne rallegro molto.
Mi auguro che metterlo nuovamente a disposizione possa contribuire a diffondere un’informazione corretta riguardo una disciplina così completa, come è la DanzaMovimentoTerapia applicata a un ambito tanto complesso quale è della tossicodipendenza.
Nel frattempo, nuove e sconosciute dipendenze maturano e ci chiedono di continuare a cercare.
Danzare il simbolo è stato presentato più volte, in particolare in Toscana, anche all’interno di Pisa Book Festival 2012.

Di seguito un breve Abstract:
Terminati i primi anni di lavoro come Danzamovimentoterapeuta, ripercorrendo a ritroso l’esperienza sul campo dei miei interventi, ho capito che forse il settore con cui mi son dovuta misurare più duramente, era quello della tossicodipendenza.
Elemento fondamentale del mio percorso, interagire con il mondo tossicomane mi ha costretta a rielaborare immediatamente ogni stimolo proveniente dalla mia formazione ma soprattutto dalla mia vita di danzatrice, tersicorea delle incertezze, tra ricerca di radici e nomadismo, in particolare di paesaggi umani.
Da un’esperienza tanto forte nasce “Danzare il Simbolo”, nasce questo libro scritto quasi da sé, come fosse stato “in pelle” per anni, aggiungendo ogni giorno, ad ogni incontro,  qualche parola prima impensabile.
Quasi un’umile ed anonima cronaca di guerra, un diario di bordo senza bussola, in acque agitate, profonde e scure.
Bruciante desiderio di condividere un percorso di studio e di lavoro in un campo (l’applicazione della Danza in ambito di tossicodipendenze) forse poco dibattuto e testimoniato: pochi riferimenti, nessuna certezza e  un discreto livello di angoscia nell’addentrarsi in un mondo tanto altero.

Si tratta di un libro semplice, snello ma non privo di spessore intrinseco e di rimandi teorici che odorano di Arte e Scienza, in una sintesi creativa dalle inimmaginabili possibilità applicative.
La Prefazione a cura di Paola De Vera D’Aragona, l’Introduzione di Giorgio Corretti, la Premessa di Enrica Ignesti, sottolineano l’importanza di conoscere a fondo questa disciplina, e la popolazione umana cui è indirizzata.
Il linguaggio di questo libro,  è quello di una danzatrice che si abbandona per la prima volta a un  salto inusuale, inesplorato, che la porta dal movimento alla parola. Ne scaturisce una  parola scarna, immediata, in cui si racchiude lo spazio di un’esperienza toccante come persona e come terapeuta. Vi si immagina di parlare al mondo, in queste pagine, a un caleidoscopio di umanità variegata: gente comune, gente che si vuole dare il diritto di sognare e quindi di sperare, gente impegnata nella relazione di cura, di aiuto, nell’autoconoscenza, gente che crede a ipotesi, punti di vista altri. Una terra di nessuno, il mondo tossicomane. Indifferente e inaccessibile, riesce forse a farsi permeare dal ricordo di un’armonia che la Danza porta in sé, che ogni Uomo, da qualche parte, porta in sé.

giovedì 20 aprile 2017

La strada di Ilaria

di Simonetta Ottone • Il 20 Marzo scorso ricorrevano i 23 anni dall’uccisione di Ilaria Alpi.

Il 10 Aprile scorso ricorrevano i 26 anni dalla tragedia del Moby Prince. 
Mi ricordo quattro anni fa, che insieme al Comune di Collesalvetti lavorammo perché fosse intitolata una strada a Ilaria. E l’attesa degli ultimi anni, in cui della documentazione importante è stata desecratata, ma di fatto non è successo niente.

Ho ritrovato ciò che scrissi per proporre al Comune di dedicare un’intera Giornata a Ilaria, in attesa dei venti anni dall’accaduto: 

Mogadiscio, 20 Marzo1994 - Livorno, 20 Marzo 2014
"Il nostro paese ha bisogno di ricordare, è vero, ma anche di comprendere finalmente le ragioni di quanto accaduto. Accertare la verità e individuare i responsabili deve continuare ad essere una priorità (...)". Pietro Grasso 

Vent'anni di verità omesse, silenziose, striscianti, silenti. Vent'anni in cui, nella nostra democrazia "avanzata", si è uccisa due volte questa storia. Una famiglia che muore, in attesa di una risposta; un paese che vede ancora una volta  naufragare il diritto di sapere.
Lasciare segni, tracce, parole. Questo sembra il senso di alcune vite.

Intitolare una strada a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è un gesto giusto, per una città attenta; è un gesto che i cittadini desiderano: un atto simbolico che restituisce quell'idea di dignità collettiva che questa vicenda, come altre in Italia rimaste oscure, si è portata via. Ma, affinché questo gesto non resti isolato, e che non abbia come solo lascito un nome su una lapide, pensiamo che serva un momento di approfondimento e di condivisione che accompagni un compiuto processo simbolico.  Per questo pensiamo che il Teatro sia lo strumento migliore: lo spettacolo “A Voce Alta” darà l'occasione di assistere a un evento performativo composito nella interazione di diversi linguaggi espressivi che si svolgono dal "vivo", attraverso la presenza, la testimonianza, l'interazione col pubblico. Si tratta di uno spettacolo che gira già dal 2003, per teatri, scuole, centri sociali, manifestazioni, sale consiliari, e che non perde la sua "urgenza", fondata sul rapporto diretto con la realtà che ci circonda.
Il testo teatrale, scaturito in parte da ricerche giornalistiche condotte insieme a Luciano Scalettari (Famiglia Cristiana, Consulente Commissione parlamentare d’inchiesta delitto Alpi – Hrovatin, coautore di “Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei traffici”, Baldini & Castoldi), a ogni replica è stato aggiornato e confrontato, seguendo attentamente gli sviluppi della vicenda.  

Eravamo in quel periodo. Un pomeriggio mi squilla il telefono, rispondo un po’ scocciata che lavoravo sodo per preparare quell'appuntamento, premo il tasto e di là c’era la voce grossa e gentile di Luciana Alpi, la madre di Ilaria. Le spiegai il nostro lavoro e lei si ricordò di quando nel 2002, stavamo scrivendo il testo di “A Voce Alta”, Giorgio ci aveva mandato da studiare un sacco di roba, anche video. E poi approvò il copione che risultò dal nostro lavoro, e lo definì con parole scelte e gratitudine “Bravi ragazzi, il testo è preciso e circostanziato. Bravi.” Luciana si ricorda di quei teatranti toscani, seguiti dal giornalista Scalettari.
Poi arriva il momento di salutarci, e sento nel telefono la voce rotta di Luciana “Vi ringrazio che dopo tanto tempo parlate ancora di Ilaria. Giorgio è morto, lo sapeva? Sono sola.” 

Non venne Luciana a Collesalvetti quel giorno, ma mi arrivò una lettera che mi chiesero di fare avere anche al Comune. Lo feci, e questo comunicato fu letto alle scuole la mattina in cui fu inaugurata la strada di Ilaria a Collesalvetti, e la sera, prima del nostro spettacolo e dell’incontro con Luciano Scalettari.

Questa è la lettera, che teniamo come un invito a continuare a parlare di lei, a danzare la sua forza, la sua libertà, e a farlo A Voce Alta.

Al Sindaco del Comune di Collesalvetti (Livorno)
e alla Associazione Compagnia DanzArte

10 aprile 1991: la tragedia del Moby Prince nel porto di Livorno.

20 marzo 1994: l’esecuzione premedita di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin a Mogadiscio in Somalia.

La giornata dell’11 maggio prossimo con l’intitolazione di una via a Ilaria e lo spettacolo teatrale che andrà in scena è molto importante perché aiuta a non dimenticare, a percorrere un pezzo di storia ancora senza verità, senza giustizia.
Lo farete “a voce alta”  e vi sentiremo anche se non saremo lì con voi.
Grazie per questo impegno: vi esprimo vicinanza, affetto solidarietà.
Lo faccio anche a nome di Luciana, mamma di Ilaria Alpi.

Cara Ilaria,
non sappiamo se ti farà piacere questa
cronistoria di quattro anni di avvenimenti,
di lotta e di inchieste per conoscere la verità
di questo orrendo delitto che ha troncato
la tua gioia di vivere.
……….

Ti chiediamo di capirci.
Per noi questa lotta è ragione di vita, nel
tentativo, forse illusorio, di portare a termine
il tuo impegno. Non sarà facile tratteggiare
questo lungo periodo di speranze, illusioni
e grandi amarezze. Sappi, tesoro, che tante
persone ti hanno tradito, hanno cercato
di rendere difficile ogni ricerca della verità.
Un bacio  
Mamma e papà

(da “l’esecuzione - inchiesta sull’uccisionedi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin; di Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer Maurizio Torrealta, Kaos ed. 1998)


Queste parole “scolpite” da Luciana e Giorgio Alpi 15 anni fa ci fanno ancora vibrare: sono cariche di dolore indignazione ma anche di un amore immenso per Ilaria, per la loro unica figlia e per il suo modo di fare giornalismo di cercare sempre la verità e di comunicarla. Vogliono portare avanti il suo impegno convinti già da allora che è proprio per questo  che l’hanno uccisa insieme a Miran: ha fatto e fa ancora paura. Ed è per questo che anche la ricerca della verità sulla sua uccisione è difficile ancora.
Non è più con noi Giorgio: ci ha lasciati domenica 11 luglio 2010. Ma è sempre vicino a Luciana e anche a tutti noi: ci accompagna e ci guida in questa lotta che vogliamo condurre insieme a Luciana fino in fondo.

Come nelle molte tragedie italiane anche qui il corso della giustizia è stato compromesso, gli assassini e chi li copre hanno potuto contare sul fatto che le tracce si possono dissolvere, che alcuni reperti sono scomparsi o non sono più utilizzabili, che molti testimoni hanno mentito non hanno detto tutto ciò che sapevano, altri sono morti in circostanze misteriose, che anche pezzi di Stato hanno lavorato all’accreditamento ufficiale di una falsa versione manipolando fatti reali.

Ma nonostante infiniti tentativi di chiudere questo caso da anni, l'impegno incessante di Giorgio e Luciana Alpi lo hanno tenuto aperto e grazie a loro all’associazione Ilaria Alpi al premio e alle moltissime scuole, istituzioni, migliaia di cittadine e cittadini che sono impegnati il caso è ancora apertissimo. 

Anche per le vittime della tragedia del Moby Prince si sta lavorando ancora perché non tutto quello che si poteva fare è stato fatto.

Siamo ancora qui non ci arrendiamo vogliamo e avremo verità, tutta la verità e giustizia.

Un abbraccio a tutti voi, come noi impegnati per la giustizia, per la verità, per la vita: insieme ce la faremo.

Mariangela Gritta Grainer anche a nome di Luciana Alpi, Presidente associazione Ilaria Alpi, maggio 2013

mercoledì 12 aprile 2017

Ingmard Bartenieff e il suo lungo lavoro nell'ombra

di Simonetta Ottone • Nel mese che celebra la Giornata Mondiale della Danza (29 Aprile, Conseil International de la Danse UNESCO), ci piace ricordare quanto la Danza sia stata, nella storia del Novecento, un modo di riconoscere la centralità della donna nel mondo dell’arte e della cultura. Tuttora, nel mondo della danza in tutte le declinazioni, lavorano e creano tantissime donne. Emblematica, in proposito, è la storia di Ingmard Bartenieff.

Danzatrice, coreografa, fisioterapista, danza terapeuta di nazionalità tedesca, studiò con Rudolf Laban, il cui metodo approfondì ed  estese, fino a crearne uno sviluppo nel sistema denominato Bartenieff Fundamentals.

Il lavoro di Ingmard Bartenieff generò così una nuova visione di possibilità per il movimento umano, e per la Pedagogia stessa del Movimento, trovando e analizzando connessioni originali e aprendo varchi illimitati.
Visse però all’ombra di Rudolf Laban, il Maestro, che dagli studi e dal lavoro dell’allieva trasse infinita longevità. Fondatrice del Laban Institute a New York, cui si dedicò fortemente, solo poco prima di morire Ingmard vide apparire anche il suo nome nella denominazione dell'istituto, che divenne il “Laban/Bartenieff Institute of Movement ofStudies”.

Parlo di tutto questo con Lorella Rapisarda, che ha studiato nell’Istituto newyorkese e che trasmette nel suo lavoro i principi che caratterizzano il sistema Laban/Bartenieff:
Il  Laban/Bartenieff  è la radice su cui baso tutto quello che faccio. Ti dà  voglia di mettersi in gioco e di approfondire concetti importanti.

Sicuramente il nome di Laban è conosciuto molto di più di quello di Bartenieff, nonostante sia lei che, nel proseguirne il lavoro, lo ha arricchito di nuovi approcci e ricerche, e sia stata lei la fondatrice del Laban/Bartenieff Institute of Movement Studies di New York (LIMS).
E' molto più nota negli Stati Uniti dove ha lavorato e sviluppato i Bartenieff Fundamentals attraverso i suoi studi Labaniani, l'esperienza come fisioterapista e danza terapeuta in vari ospedali, teneva anche molte letture e dimostrazioni del lavoro in varie università.
Era una vera pioniera che ha capito l'importanza delle influenze culturali  ed economiche nel nostro modo di muoverci, ha enfatizzato l'importanza delle connessioni interne fisico/emozionali che si riflettono nella nostra espressività e nella nostra abilità di comunicare e agire nel mondo. Ma per quanto fosse esperta nel suo campo, Bartenieff non era incline al marketing, era una persona molto semplice e non aveva relazioni in grado di darle un sostegno importante, tanto che preferì fondare, con  il LIMS, un centro indipendente.
Il Sistema Laban/Bartenieff in Italia viene ovviamente usato come strumento tecnico, per codificare e comprendere meglio lo stato d'animo di una persona e le sue possibilità di esprimersi, ma anche come strumento creativo che ci permette, attraverso i suoi molteplici stimoli, di trovare modi di approccio e di comunicazione con le persone con cui ci troviamo a interagire.
Laban e Bartenieff partivano sempre dalla persona nella sua interezza, nel suo aspetto fisico e mentale, senza mai separare questi due aspetti. Scrive Laban: “Il potere integrativo del movimento è forse il più importante valore per l'individuo”; in una società dove la disgregazione e la frammentazione minacciano la nostra integrità, possiamo sempre tornare al movimento e al suo “potere integrativo”. Bartenieff diceva: “Attivare e motivare!” 
Sta a noi come educatori e facilitatori trovare modi per riportare questa integrazione attraverso l'azione motivata. Dare stimoli e motivare le persone a trovare una maggiore armonia è nostro compito,siamo dei ponti.
Creiamo ponti tra noi e gli altri, tra persone che conoscono il linguaggio del corpo sia dal punto di vista funzionale che espressivo  e la persona che porta con sé la voglia di conoscersi e conoscere modi nuovi di sentire se stesso.
L'applicazione dei nostri studi si realizza in tutto il suo potenziale rigenerativo quando usiamo quello che sappiamo, che abbiamo provato e sperimentato, per aprire nuove strade  di comunicazione, scambio ed espressione tra le persone, una dimensione questa,  ancora non troppo  investigata e quindi sottovalutata nella nostra società italiana."