di Simonetta Ottone • Da troppo
tempo volevo confrontarmi con donne impegnate nel mondo del calcio italiano. Finalmente incontro Martina Angelini, sul campo di calcio. E’
un tipo pratico, Martina, puntuale e attenta.
Il calcio è un un mondo che conosco poco...
• Le chiedo di iniziare parlando un po' di sé.
Ho 37 anni, mi sono diplomata al Liceo
Scientifico e poi ho iniziato subito a fare la giornalista. Ho scritto su molti
quotidiani e periodici come Tuttosport e il Guerin Sportivo. Ho vissuto a Roma
per 10 anni dove, fra le altre cose, ho lavorato nell'Ufficio Stampa della Lega
Nazionale Dilettanti, Divisione Calcio Femminile. Da sempre lavoro per lo
sviluppo e la promozione del calcio femminile, soprattutto da quando lavoro per
Eurosport: commentando le partite di calcio femminile in tv ho potuto conoscere
bene la realtà internazionale e ho capito quanto siamo indietro in Italia. Da
Giugno 2015 sono la Responsabile del settore femminile del Livorno Calcio.
• Parlami del mondo del lavoro che
incontri, in quanto donna.
Il mondo del giornalismo sportivo non è facile per
una donna. Anche in tv si vedono sempre uomini opinionisti e donne vallette,
chiamate solo per leggere i risultati ma senza esprimere le proprie idee. Ci
sono tante giornaliste bravissime che capiscono davvero di sport, ma per
arrivare a ricoprire incarichi importanti devono faticare il doppio rispetto ai
colleghi. Ancora oggi, se magari sono su un treno e leggo la Gazzetta dello
Sport trovo sempre qualche uomo che mi guarda come se fossi un'aliena...
• Quale è la situazione attuale del Calcio
femminile in Italia ? In che modo potrebbe farlo crescere, anche di notorietà?
Qualche anno fa una giocatrice della Nazionale
intervenne in Consiglio Federale e disse “aiutateci, perché siamo il Terzo
Mondo del calcio femminile”, ed aveva ragione. Ci sono circa 20.000 tesserate,
una cifra ridicola se si pensa ad esempio alle 250.000 della Germania o
addirittura alle 75.000 della Danimarca (un Paese che ha 5 milioni di
abitanti). Culturalmente è ancora strano che una bambina scelga di giocare a
calcio, spesso le bimbe devono lottare contro i pregiudizi della famiglia,
mentre all'estero non è così, il calcio è considerato uno sport per i maschi
come per le femminine. Dallo scorso anno però si sono fatti passi avanti.
Finalmente la Federazione ha obbligato le società professionistiche ad avere il
settore femminile, come fanno all'estero e credo che questa politica potrà far
crescere molto il movimento.
• E’ vero che le atlete anche di alto
livello per normativa italiana risultano dilettanti? Quanto guadagna una
calciatrice italiana di serie A?
L'Italia è l'unico Paese europeo in cui, per
praticare lo stesso sport, un uomo è professionista e una donna è dilettante.
Anche se adesso possono essere tesserate per una società professionistica le
donne, in quanto tali, restano inquadrate come dilettanti. Una calciatrice di
Serie A ha gli stessi impegni di un uomo, si allena tutti giorni, gira l'Italia
per le partite, fa le Coppe Europee, va in Nazionale, ma in quanto dilettante
non può guadagnare più di 25.000 euro all'anno. Ma ovviamente anche questa è
una cifra che in poche raggiungono.
• Che pensi di ciò che è successo qualche
mese fa a Locri? Perché impedire
l’attività a una realtà di Calcio Femminile? Lo trovi casuale?
E' difficile dare un'opinione sul caso Locri perché
penso che ci siano molte cose non chiare su quanto è successo... posso solo
dire che paradossalmente questa vicenda ha fatto parlare del calcio femminile e
ha fatto muovere i vertici federali. Ammiro le ragazze, il loro coraggio e la
loro voglia di non mollare in una situazione davvero difficile.
• Per il futuro: cosa
auguri al Calcio e al paese?
Sono davvero felice di avere iniziato questa
avventura con il Livorno. Ho realizzato il mio sogno di poter lavorare nel
settore femminile di una società professionistica e poterlo fare per la squadra
che tifo da sempre è una soddisfazione doppia. Spero che sempre più bambine
italiane (e livornesi in particolare) vengano a giocare a calcio. Da parte
nostra ci metteremo professionalità e cura dei dettagli, così da permettere
loro di crescere sportivamente e anche come persone. All'Italia auguro di
diventare sempre di più un paese aperto, che concede alle donne che fanno sport le stesse
possibilità che hanno gli uomini. Troppo spesso atlete di alto livello devono
abbandonare l'attività sportiva perché hanno paura di perdere un lavoro o perché
non vengono tutelate in caso di maternità.
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