lunedì 25 gennaio 2016

Perché il fatto non costituisce reato

di Simonetta Ottone • Magari anche loro - tante altre che prima di finire ammazzate si erano rivolte fiduciose alla giustizia - si erano sentite dire, dopo svariate denunce e a volte processi: “... perché il fatto non costituisce reato"... 
Qualcosa blocca, è evidente. Il dato nazionale risultante da più fonti è che le donne che denunciano violenza sono meno del 10%. Come se farlo fosse una perdita di tempo, o - peggio - una ulteriore fonte di frustrazione e di rischio.
Le donne vittime di violenza hanno due strade, entrambe scivolose: si possono rivolgere al pronto soccorso che le immette immediatamente nel Codice Rosca (o Bianco, che le ritiene quindi come gli altri soggetti deboli, al pari di minori, anziani, diversabili), o chiedere aiuto al numero nazionale 1522 che le indirizza al Centro Antiviolenza (deprivato di risorse dall'attuale piano nazionale).
Indurre la persona a denunciare, senza permetterle un percorso che la accompagni, può scoraggiare una situazione in cui la donna, il suo corpo e la sua vita, passa dai medici, ai poliziotti, ai giudici, quasi per adempiere a una procedura.
Rivolgersi alla Giustizia Penale è sempre una decisione sofferta: tempi inaccettabili per istruire processi, interrogatori pressanti ove mettere a nudo sé stesse e le proprie relazioni (spesso producendo una vittimizzazione secondaria), per poi constatare che a fronte di perizie mediche, prove e testimonianze, ti viene detto a fine del lungo e spesso scollegato percorso di "giustizia", "perché il fatto non costituisce reato", laddove la violenza di genere c'è, esiste con prove e controprove, e viene definita dal diritto internazionale. 

In Italia, e il caso di questa lettera è emblematico, si solidarizza di più con l'imputato che non la vittima, e ciò che ne deriva pone il paese nella condizione di non adempiere agli impegni presi nella Convenzione di Istanbul.
Così è finita anche una vicenda giudiziaria che, per le sue incongruenze e per i ritardi, gli slittamenti, gli intoppi, era già stata definita "uno stillicidio".
Ed ecco cosa ne scrive l'Associazione Casa della Donna di Pisa:
È molto difficile per noi comunicare come ci sentiamo dopo la sentenza di assoluzione di Andrea Buscemi dall’accusa di stalking nei confronti di Patrizia Pagliarone: incredule, indignate, arrabbiate, deluse... e potremmo continuare a lungo. Che quella sentenza sia stata pronunciata da una donna è poco influente, ben conosciamo quanto l'appartenenza di genere spesso sia estranea a chi riveste un ruolo, ci dispiace constatarlo, ma non ci scandalizza! Prosciolto “perché il fatto non costituisce reato”: aspetteremo le motivazioni della giudice. Ma ci pare incredibile che la quantità e la tipologia delle prove, le testimonianze professionalmente qualificate, le perizie espletate anche dal tribunale non siano bastate a provare che purtroppo i fatti accaduti sono "reati", e reali, che hanno provocato in chi li ha subiti profondi danni esistenziali. 


Questo processo ha una sua storia, che forse pochi conoscono, la prima denuncia è del dicembre 2009, ma il processo è iniziato solo nel novembre 2013, quattro anni sono un tempo inaccettabile per istruire un processo! Una risposta tempestiva della giustizia è fondamentale per la protezione immediata delle vittime.E' stato difficile e doloroso assistere a tutte le fasi processuali, resistere in silenzio pur osservando l’aggressività degli interrogatori alla parte offesa, e sentire la sofferenza di Patrizia, pressata da domande ripetitive e assillanti. Se tutto questo è stato vissuto da tutte noi come un abuso personale, una violenza aggiunta a tutte quelle che aveva già subito Patrizia, un classico esempio di vittimizzazione secondaria, è indicibile lo sconcerto per la sentenza. Ci chiediamo cosa vuol dire "il fatto non costituisce reato" ? Eppure la violenza di genere è definita dal diritto internazionale, ci sono leggi nel nostro paese che ben descrivono le varie tipologie (maltrattamenti, abusi, stalking...); c'è un'ampia letteratura scientifica sulle cause, le dinamiche e le conseguenze delle violenze; i centriantiviolenza, nati dal movimento delle donne, hanno elaborato e diffuso saperi, hanno insegnato che la violenza è strutturale, e che c'è bisogno dell'impegno delle istituzioni, delle forze dell'ordine, dei servizi sociali e sanitari, della scuola, per cambiare una cultura storicamente imbevuta di stereotipi e pregiudizi sulle donne. 
A Pisa le istituzioni hanno ascoltato e sono dieci anni che la rete locale collabora e agisce concretamente. Anche per questo le donne che denunciano sono il 25%, a fronte di un dato nazionale inferiore al 10%. Ci chiediamo come una donna possa vivere una sentenza come questa o altre recenti, magari una donna che si è rivolta a Pronto Soccorso perchè è stata picchiata ed è entrata nel percorso Codice Rosa? O una delle migliaia di donne che chiedono aiuto al numero nazionale 1522 e vengono indirizzate al centro antiviolenza più vicino? Oppure una ragazza che viene tempestata da migliaia di sms offensivi, minacciata, inseguita, ma è ancora indecisa se denunciare l'ex che la perseguita?
Noi che ascoltiamo le donne da più di 20 anni sappiamo che la decisione di rivolgersi alla giustizia penale è sempre sofferta e avviene quando non c'è altra possibilità per proteggere sé e spesso anche i/le propri/e figli/e. E' facile immaginare quali dubbi e paure questa sentenza alimenterà nelle donne che subiscono violenza, e quanto lavoro in più sarà necessario per sostenerle nel percorso legale. Ma noi continuiamo a credere che il cambiamento non si fermi, che prevarrà una giustizia capace di riconoscere la violenza maschile contro le donne; in primis, come una violazione dei diritti umani, al di là delle differenti fattispecie penali. Crediamo e sosteniamo Patrizia e tutte le donne che subiscono violenza: ieri, oggi e domani. 

martedì 5 gennaio 2016

La carica espressiva del rock; al femminile. Intervista a Le Missteryke

di Simonetta Ottone • Le ho viste più volte suonare. E ogni volta mi commuove quella capacità di presentare la loro musica in modo puro, diretto, senza fronzoli. Compromesso. Arrivano dritte al punto, queste quattro donne dal suono graffiante e innamorato. 

Voce, chitarra, basso e batteria, ciò che serve al rock, e ciò che ci hanno messo a disposizione laddove, qua in Toscana, volevamo parlare di noi, dare voce e gambe alle donne che con il loro impegno e la loro arte imparano ogni giorno a conquistarsi quello spazio che ancora non c’è.
Le ho di fronte a me, quattro visi sorridenti e schietti, un filo di trucco stropicciato dalle ore, abbigliamento da gioventù disincantata, quella gioventù che non ha trovato molto davanti a sé, e ha imparato a non illudersi. Durante l’ultimo concerto infatti la cantante, una ragazzona, voce decisa, movimenti forti e gentili, dice semplicemente “Aiutateci a realizzare un sogno. Quello di continuare a raccontarvi storie”. Mi rivolgo a loro, prima che tornino in  prova:  
Chi sono le Missteryke?
Siamo una band di quattro donne che hanno fatto del rock la loro prerogativa espressiva: Monia Mosti (voce), Simona Tarantino (batteria), Greta Merli (chitarra, di recente endorser dello storico marchio italiano Eko), Stefania Brugnoni (basso). Musiciste e autrici dei brani autografi del loro repertorio.
 Perché una rock band tutta al femminile?
Una casualità direi, una serie di coincidenze che poi diventano una  sfida. Le Missteryke nascono dal desiderio di alcune amiche di unirsi e intraprendere un percorso insieme attraverso la musica. In questo clima di amicizia e condivisione, siamo arrivate fino alla formazione attuale che comprende ancora le fondatrici Stefania e Simona, due colonne portanti, due riferimenti per il gruppo. Nel tempo è capitato che la formazione si rinnovasse con donne e alla fine è stato importante mantenere fede al nome della band…direi che perderebbe di significato con la presenza di un uomo…
Come nasce la vostra musica?
dalla necessità di raccontare storie di vita vera, incontrate, ascoltate e in alcuni casi vissute. Il nostro genere potrebbe essere definito “rock sociale”, perché alla fine, nel racconto, ci piace sempre portare una denuncia, fatta di immagini, di persone e di occhi, che non giudicano, ma che si schierano dalla parte di chi sta vivendo un sentimento. E’ più forte di noi: nel sangue di una donna crediamo ci sia la necessità di guardare e vivere profondamente tutto, fino quasi a farsi male, per poi gridarlo e condividerlo. Scriviamo insieme, nel senso che spesso l’idea musicale o testuale parte da una di noi, ma poi viene cresciuta all’interno del gruppo, provata, riprovata e pensata insieme, fino a che non corrisponde a quello che vogliamo dire.
• Quali spunti o riferimenti in ambito culturale e artistico?
tanti riferimenti musicali, direi, perché siamo quattro e siamo donne, e nel nostro sound, nelle nostre melodie, nei nostri Riff si ripercorrono le influenze  musicali e culturali di quattro vite. Greta, Stefania e Simona da buone strumentiste sono cresciute con il rock; dall’hard rock degli anni 70 hanno preso groove e Riff (Led Zeppelin, Deep Purple, Pink Floyd…). Naturalmente anche il rock anni 90 (Rem, Red Hot Chili Peppers, Radiohead…) è passato dalle orecchie e dalle mani delle Missteryke portando anche sonorità più Brit. Monia poi ci ha portate nel mondo italiano che molto ama e conosce, e che naturalmente ascoltiamo e studiamo tutte, essendo la lingua unica che abbiamo scelto per le nostre canzoni. Potremmo citare Litfiba, Marlen Kuntz, Elisa, Consoli, Nannini, Gazzè…. ma molti molti altri. Ci sentiamo inoltre in debito con figure di donne, quali Maria Callas e Patti Smith che, nei loro rispettivi generi musicali, hanno saputo lasciare un segno unico e indelebile nella storia della musica.


 Come si vive da musicista in Italia?
male - è una domanda molto complessa e la risposta sembrerà retorica seppur vera. Si vive male perché la musica è maltrattata e declassata a disciplina del tempo libero, pertanto non necessaria alla crescita culturale di un individuo. Da qui una serie di errori e difficoltà. A scuola quasi del tutto eliminata, istituti dedicati di alta formazione assenti o non all’altezza, sbocchi professionali fatiscenti. I teatri, le rassegne, i festival sempre più poveri e sempre più chiusi. La discografia scomparsa nel senso che è dedicata ormai solo a prodotti televisivi, il mondo Indie che ormai rappresenta tutti noi musicisti medi, è povero, e quasi sempre autoprodotto. Che dire, è proprio amore il nostro, e quello di tanti gruppi che provano a cambiare il punto di vista e la scala dei valori portando avanti con forza e coraggio il loro messaggio.
 Cosa vuol dire essere musiciste e donne in Italia? Cosa ci supporta, cosa ci manca? 
Vuol dire imparare ogni giorno un nuovo modo per comunicare e costruirsi da sole una rete fatta di persone e di altri musicisti, ascoltatori e artisti che condividano con te un viaggio, affinché possa rimanere incontaminato dalla fama di successo. Mancano le istituzioni, manca che il valore dell’arte e del bello vengano restituiti alle cose che contano realmente, che sono quelle che ci fanno star bene e che ci fanno bene all’anima, al cuore, alla testa, alla creatività e alla condivisione. Come musiciste e donne direi che ne vediamo di tutti i colori perché l’ambiente musicale, come quello lavorativo in genere, è ancora prettamente maschilista, e vedere donne che suonano e scrivono bene (almeno in maniera discutibile), riporta la testa a confronti tra uomini e donne. La donna in Italia non è valorizzata e non è appoggiata. Abbiamo ancora amiche licenziate perché mamme o neomamme… che si può dire…
 Progetti futuri?
Dopo queste ultime riflessioni pessimistiche , vogliamo ricordare che le Missteryke in realtà sono un’oasi di positività e di passione che non si ferma di fronte alle difficoltà. Il nostro progetto più importante è l’ esempio di un lavoro pensato e condiviso dal basso: il disco uscito da pochi giorni, dal titolo “Effettivamente” è sulla piattaforma MusicRaiser dove i co-produttori sono le persone che ci amano, che ci seguono o che hanno voglia di sostenerci. Il crowdfounding è una nuova forma di produzione che fa riferimento alle persone comuni, non più a istituzioni o major: costruire insieme un sogno unendo le forze!.

Il concerto di presentazione del disco, curatissimo, ha avuto il contributo di altre due donne, bravissime artiste: Chiara Formisano (portraitist) e Ambra Lunardi (videomaker).

Il tempo è rock, ed è finito: saluto queste quattro ragazze dai sorrisi aperti, che parlano con intelligenza e ironia citando svariati aneddoti tragicomici. Come dopo un concerto venga loro detto - ad esempio - "Siete brave! Come degli uomini!", o come chi, nel pensiero affettuoso di promuoverle,  consigli loro di sganciarsi un po' le camicette in scena. E si ride, insieme, amaramente.