A 32 anni Ilaria è morta.
E' stata fermata, le foto che la ritraggono non sono più
cambiate, le guardo e le riguardo da anni, ma sono sempre quelle. Lei è rimasta
lì dentro, in quel suv in pieno sole africano.
In questi giorni Luciana Alpi, la madre coraggio che lotta dapiù di 20 anni per fare luce sull'assassinio della propria figlia, una delle pagine più oscure della nostra democrazia avanzata,
ha deciso di non continuare a sostenere il Premio giornalistico Ilaria Alpi,
perché non lo trova più utile: nessuna indagine, nessuna
volontà di restituire giustizia. La combattente sembra deporre le armi: la battaglia non è una bandiera,
né può essere infinita.
Nel ventennale della morte di Ilaria, il tempo ci ha giudicati.
E ho nelle orecchie la sua voce che mi ringraziava per il fatto
di parlare in teatro di Ilaria. Lei ringraziava me, per così poco. La sua voce, forte e fiera, si infrangeva in commozione un
attimo, ma subito tornava piena d'orgoglio. Una voce così diversa da quella di
Giorgio, il padre, che con un filo gentile e pacato, si complimentava: Bravi. Il testo è bello e circostanziato. E' una storia complicata.
Anch'io mi sento delusa e offesa. Anch'io ho fallito nei miei
piccoli intenti di cittadina e artista. Abbandonare il progetto del premio, però, non significa ancora arrendersi: "voglio la verità; la rassegnazione non mi appartiene. La mia non è una resa: dopo le feste dovrebbero mandarci i documenti delle diverse commissioni parlamentari di inchiesta; c'è molta roba e leggerò tutto: vedremo se avranno lasciato qualcosa di interessante o un bel niente. Il tempo è dalla parte degli assassini, ma io spero ancora di sapere, prima di morire. Se non ce la farò, pazienza: la verità storica la sappiamo tutti", dice Luciana Alpi.
Ma mi chiedo cosa voglia dire lasciare questo mondo, come Giorgio ha fatto, con questo nodo immenso. E cosa voglia dire percorrere il tramonto della propria vita
assistendo impotenti, come si dice, al rito di uccidere due volte una figlia persa nel fiore degli anni. Simonetta Ottone
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