domenica 5 ottobre 2014

Città d'acqua

di Simonetta Ottone • Toscana, terra di artisti e di artigiani, dicevano.
La storia ne ha fatto terra di eccellenze, di straordinarietà. Ancora oggi è piena di possibilità, spesso inespresse, e  la geografia continua a benedirla.        
Livorno è la terza città della regione per popolazione, la quinta dell'Italia centrale. Ha un grande, sconfinato orizzonte, una luce chiara e piena, ma gioca da tempo il ruolo di una Toscana minore, alla periferia dell'impero. 
Livorno, tra terra e acqua, tra campagna e città, si è dimenticata di sé e si è fermata; solo di rado ricorda incredula glorie di un passato che ha preso le sembianze della decadenza, della dimenticanza. 
Quell'epoca ha preso il largo e non è tornata più, di nuovo, nel nostro porto mediceo. Banchine vuote e attracchi disertati ci trattengono lo sguardo, in attesa, e ci muovono l'umore di fondo di una melanconia, tutta labronica, goffamente malcelata  di ironia.

Luogo calamita, Livorno gode di un particolare microclima emotivo, dove il mondo fuori sembra lontano, un po' irreale e non così desiderabile. E' anche un posto che fa nascere la creatività, ma poi non sa che farci, così anziché farla volare oltre il mare, ce la affoga.
Livorno è così imperfetta che si riempie di poesia. Forse è per questo che ha sempre attirato numerosi e bravi artisti, alla ricerca dei grandi, che eppure qui nacquero Modì, Mascagni, Caproni,  Ciampi. Alcuni l'hanno scelta come luogo in cui vivere e creare, altri, tantissimi, come quei  Maestri, non son potuti rimanere, altri ancora la vivono come una tappa, piacevole ma non fondamentale, della loro forzata traiettoria nomade.
Un po' come noi che ci abitiamo, e seminiamo di continuo nella sabbia, in attesa di quei grandi appuntamenti che altre italie riescono a cogliere, subito, o addirittura a far nascere.
Spaccata in 19 liste elettorali alle ultime amministrative (tantissime le liste civiche), la città è l'emblema della difficoltà tutta italiana a accettare un cambiamento radicale.
9,4% è la percentuale di disoccupazione femminile, 7,9 quella maschile.
9688 le donne laureate nel 2011, 8248 gli uomini.
Problemi abitativi cronici, scarsità di servizi per l'infanzia (nidi pubblici e scuole materne), in aumento la richiesta d'intervento per dipendenze, in particolare da alcol e giochi d'azzardo, disagi psichici e sociali. Abbattimento massivo di presidi culturali, chiusura della maggior parte di sale, teatri e cinema. 
Livorno è una città che sta male, da tempo. Basta avere occhi per vedere. E' una città maschia, però: degli undici candidati a Sindaco, solo tre erano donne.
Riconfermata quindi una qualità di potere, una fiducia a una leadership tutta maschile; arriva subito una guerra senza quartiere tra cittadini, un tutti contro tutti volto non solo a sconfiggere, ma addirittura a umiliare la compagine partitica che aveva guidato la città negli ultimi 70 anni e di cui, nel bene o nel male, eravamo figli tutti.
Anziché allearsi tra fratelli e pretendere che i padri, che hanno cannibalizzato tutto e tutto tenuto per sé, organizzassero il loro tramonto, come cittadini consapevoli si aspettano dai loro rappresentanti, ne abbiamo approfittato per fare altro. Il nostro istinto territoriale ha predominato, eccitando la distruzione nella distruzione, e ci siamo predati la città.
Il progetto è riuscito, la bellezza guerriera ha trionfato e si è usciti, per un attimo memorabile, dalla penombra. Le armi brillavano, e tutta Europa parlava di noi.
Ma la guerra è guerra e ora tutti hanno più ragioni di essere contro tutti. E la città implode.
D'altra parte, come era possibile il contrario? Come influire e determinare un cambiamento se si perpetua il modello responsabile della deriva della politica italiana?
Reclamo il diritto alla parità di genere per gli uomini italiani.
Vorrei che ne beneficiassero, vorrei non fossero più imprigionati da un'idea culturale che li faccia pensare e agire in una perenne contrapposizione di valori. Perché è una voragine senza fine quella che ci porta, tutti quanti, a identificarci come amici e nemici, a vivere il confronto come una battaglia, a manipolare la disperazione delle persone, per essere sicuri di uccidere il nemico.
Nell'ultima competizione elettorale, poi, il nemico era ovunque.
E l'essere accecati non ha permesso di capire che si confondevano i piani: il pubblico e il privato, titoli e esperienza, il personale e il politico, teoria e pratica, organizzazione e approssimazione. Il successo è stato l'insuccesso dell'altro, l'altro che non è stato nei tempi e nei metodi necessari al rinnovamento profondo auspicato dai cittadini stessi.  L'altro che non è voluto cambiare.
C'è stato un vincitore e un perdente, come in tutte le guerre da millenni or sono. 
Non sarebbe stata guerra se ci fossimo definiti su quello che siamo, sulla vita che facciamo, su ciò che desideriamo, sul futuro che cerchiamo. Uno spettro possibile, capace di creare un progetto di cura e di rinascita della città,  senza predare, ma investendo su una visione comune, mettendo in campo tutte le forze migliori, e dando vita a ciò che non c'è. Consapevoli, ognuno, delle proprie fragilità, e facendo tesoro delle differenze.
Ma Livorno è una città maschia, e irrimediabilmente vecchia, perché ha scelto un progetto di morte.
Un luogo bellissimo e selvaggio, libero e prigioniero, dove trionfa ancora l'appartenenza al branco, qualsiasi branco, anche improvvisato, dove sia possibile confezionare identità, successo e potere a basso sforzo, senza troppe pretese e reali aspirazioni.
E sì che ogni comandante d'esercito sa di essere arbitro del destino di un popolo, l'uomo dal quale dipenderà se la nazione sarà in pace oppure in pericolo. 
Ma noi guerreggiamo, poi disquisiamo, inventiamo nuove battaglie, giusto per non slanciarsi, oltre l'illusione della rivoluzione, in una evoluzione possibile.
E intanto il mare, quello blu dei macchiaioli, è lì davanti a noi e ci dà opportunità grandi, per meritarcelo. Il nostro mare è ciò che gli altri non hanno.
Con la Legge Del Rio sul riordino delle province, il grosso baricentro della Toscana centrale sono i comuni della piana: Firenze e la città metropolitana avrà la possibilità di intercettare finanziamenti e concretizzare politiche di sviluppo.
La zona costiera dovrà cogliere l'occasione: il riordino delle province apre una possibilità entusiasmante per  mettere a sistema qualità, mettendo a frutto ciò che manca agli altri. Pisa, infatti, ha il sapere tecnologico, Lucca l'interesse storico, ambientale e turistico, Livorno il mare.
Il porto è una porta sul mondo esterno, è un punto di contatto, da valorizzare al massimo. E' un accesso a tutta la Toscana, che avvantaggia e deve interessare tutti. Un piano regolatore che permetta a una parte della città di essere più integrata col porto è una scelta necessaria al rilancio della città e un'opportunità vera per tutta la regione, poichè è un centro logistico industriale senza eguali in Italia e al centro dell'Italia stessa. E' auspicabile che sia possibile programmare insieme, in una rete di territori e realtà, settori come porti e interporti, e non solo.
La Cultura, che rischia di rimanere un settore affamato rispetto al gigante metropolitano, è un ambito collegato al transito delle persone e al turismo, potrebbe moltiplicare l'economia, attraverso la creazione di un'area della costa toscana, declinata nella forma di distretto culturale. In questo modo,  le svariate realtà, sia di base che specifiche, potranno alimentare un circolo virtuoso di collaborazioni, scambi, divisioni di specificità e di costi. E la provincia di Livorno si estende dritta e lunga, per oltre 100 Km di costa, e anima un arcipelago di festival, teatri, manifestazioni che denotano una vivacità e dinamicità del tutto peculiari e da valorizzare.
E forse è proprio vero, che il nostro mare, con i suoi porti, interporti, retroporti, porte aperte da attraversare e abitare, è ciò che, legando il passato col presente, ci chiede di liberarci dalla mentalità arcaica della predazione e del controllo autoreferenziale del territorio.
Solo così, aprendoci in orizzontale, potremo mantenere quell'identità di "gente di mare" del XXI° secolo, con sguardo chiaro e schietto che sa guardare lontano.   


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