domenica 28 dicembre 2014

La Scienza è (anche) Donna. Ma la politica deve fare di più e meglio

di Simonetta Ottone • Diverse donne italiane di scienza hanno fatto grandi cose negli ultimi anni, e quest'anno in particolare.
Ad esempio Fabiola Gianotti, che già nel 2012 aveva conquistato la 5° posizione  nella graduatoria del Times "Persona dell'anno", per la sua attività di scienziata presso il CERN (Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare) è stata ora promossa a Direttrice dello stesso organismo (e cioè a primo direttore donna nella storia del CERN). Nomina che ha così commentato:  lavorerò per la Scienza e al servizio della Pace.
Poi c'è Samantha Cristoforetti, che nonostante il suo essere aviatrice, ingegnera, prima donna italiana astronauta, prima donna italiana negli equipaggi dell'Agenzia Spaziale europea, prima donna italiana nello spazio,  mantiene un sorriso generoso e semplice. Deve essere vero che la scienza, con questa sua voglia di scoprire ciò che non sappiamo, ci ricorda quanto siamo piccoli.
In questo cupo 2014, Fabiola e Samantha, sono guizzi di luce sfavillante negli occhi di Isabella, una ricercatrice che mi parla di loro sorridendo.
Come nella storia comune delle donne, anche nella scienza le figure femminili hanno dovuto farsi largo fra divieti e difficoltà - ma ci lasciano grandi ispirazioni. A cominciare da Marie Curie, insignita nel 1903 (assieme al marito) del Premio Nobel per la Fisica, e poi ancora nel 1911 di un secondo Nobel per la Chimica. Da giovane dovette scappare in Francia dalla Polonia, perché le donne non avevano accesso agli studi superiori. Una delle poche volte in cui si ricorda più la moglie che non il marito. Fra le scienziate italiane recentemente scomparse non si possono poi non ricordare Rita Levi Montalcini (Nobel per la Medicina 1986) 

e la grande Margherita Hack, donna intelligente e ironica.
Isabella è biologa marina presso un Centro Ricerche in Tossicologia marina in Toscana, e mi parla di loro con questo viso aperto e curioso. E' napoletana, anche se il suo accento è appena riconoscibile. Si è laureata a Napoli, poi è andata via in giro per l'Italia, poi in Francia dove ha vinto una borsa. A fine giro è rientrata a Napoli, dove è stata assunta stabilmente come ricercatrice presso "l'Acquario", o meglio la Stazione Zoologica Anton Dhorn, centro di eccellenza nato per esclusivi fini scientifici: un luogo antico dove è nata la Biologia dello Sviluppo e dove Isabella ha coronato uno dei suoi sogni più grandi.
Ricorda del suo percorso iniziale, prezioso grazie a una donna nata in Canada, figlia di emigranti italiani, che le ha dato tanto dal punto di vista scientifico. Una guida. A Napoli però era difficile vivere. Nel 2008 la città sta dei mesi sommersa nella spazzatura, con rischi di epidemie impensabili: un senso di abbandono, di vergogna, di ingiustizia. Quella Toscana in cui avevamo scelto di far nascere la nostra bimba in acqua, a Poggibonsi nel 2005, diventa un miraggio, dice. Per la ricerca di base, non applicata, non si trovano finanziamenti in Italia, così decide di dedicarsi alla ricerca applicata, all'acquacoltura e all'inquinamento marino e trova un contatto di lavoro valido in Toscana in ambito ecotossicologico.
Scopro anche Livorno, una Napoli anni '50, per come me la immagino, quella rilassatezza, pacatezza della gente che passeggia sul lungomare nei giorni feriali... una visione di famiglia che a Napoli oggi vedi al massimo il Sabato o la Domenica. Livorno è una città sconosciuta ai più, non l'avevo quasi mai visitata: il suo lungomare mi ha stregata, e quel porto dolce, dietro al quale partono subito le colline morbide nell'entroterra. Isabella parla con gioia, gratitudine: quando la mattina percorro queste colline mi dico - ma è vero, che io abito qua in questa meraviglia? Ciò che desideravo l'ho trovato in Toscana: una figlia, lavorare col mare, poterlo guardare, un luogo a dimensione umana. Se vado a Napoli è una cosa quasi sempre per lavoro, veloce, dormo in albergo, voglio sentirmi ora solo una turista, là. E le ragazze lavoratrici di Napoli, con le loro dimissioni in bianco, che pena.
E vuole lasciarmi qualcosa di interessante su cui scrivere, così mi spiega che nelle facoltà di biologia sono più numerose le donne: questa scienza non è dell'uomo, lo è la chimica, l'ingegneria.
Per le donne, però, farsi strada nella ricerca scientifica è un impegno doppiamente faticoso, se bisogna occuparsi di una famiglia il tempo non basta mai, e il sistema culturale non aiuta. La Hack e la Montalcini non a caso non avevano figli e hanno dedicato moltissima parte della loro vita alla ricerca. Non è in alternativa alla famiglia, la puoi fare comunque, ma non ti permetti di fare molti grandi passi: la donna con prole e marito, che deve far fronte a un grande impegno professionale, incluso la necessità di viaggiare e avere scambi internazionali anche per lunghi periodi, non viene seguita dall'uomo, siamo abituati che è la moglie che segue il marito. A alti livelli, per la cultura italiana, uno dei due deve rinunciare. Nelle università americane o del nord Europa c'è un altro concetto: si cerca di trovare collocazione a tutta la famiglia, altrimenti chi va da solo lavora peggio. C'è la tendenza intelligente per cui, se una persona vale, le va dato l'assegno di borsa alle migliori condizioni. Non come qua che ci sentiamo di non essere desiderati, né messi in condizione di competere con gli altri: è un peccato, perché noi italiani abbiamo grandi potenzialità intellettuali. Per non parlare delle condizioni in cui tanti di noi devono vivere e lavorare, come precari a vita o senza possibilità di crescere, avanzare.. Isabella mi guarda cogliendo ogni mia espressione, e aggiunge: ti dirò di più. Nella ricerca, ad esempio, i 5 mesi di maternità non sono coperti, non prendi nulla e non ti valgono come anzianità: si congela tutto, come se in maternità tu non esistessi più, come ricercatrice. E se penso ai posti di un certo livello, non mi viene in mente un rettore donna
E' vero: ad oggi sono 4 in tutta Italia! Lei, da studiosa, riflette anche sul fatto che, prevalentemente, va avanti la donna che ha un tutoraggio maschile, un marito, un padre. La cultura femminile dovrebbe svilupparsi così tanto da non permettere agli uomini di adagiarsi sugli allori e di sfruttare ogni vantaggio possibile, anche biologico, per mantenere le loro posizioni: e la politica fa a meno di tutto, della scienza, delle arti applicate, si gestisce da sola, in modo avulso dalla realtà. Non posso credere alla politica finché un Ministro alla Giustizia, prima lo era all'Ambiente, non è accettabile rispetto alle dure selezioni che affronta chi si muove nel mondo reale del lavoro e delle professioni senza supporti politici. Capisco che un Veronesi Ministro della Sanità possa essere troppo - dentro - e alimentare la situazione da noi mai risolta del conflitto d'interesse, ma non può essere che la politica si autonomini in ogni ambito, determinando la cosa più difficile, anche per chi ha approfondite competenze teoriche e pratiche: le scelte. Che sono la responsabilità maggiore. E aggiunge, con un'espressione amara: noi abbiamo bisogno della politica, ma la politica fa a meno di noi: un Ministro dovrebbe non solo circondarsi di tecnici (che tra l'altro come i consulenti incidono sulla spesa pubblica), ma dovrebbe avere la decenza di confrontarsi continuamente con gli operatori di settore che lavorano sul campo.
Bè, ha ragione: un Ministro che viene soltanto dalla politica o poco più, è frutto di una cultura prevaricatoria, basata sull'invasione costante di campo. Anch'io come artista sono molto stanca di far giudicare il mio lavoro da chi non ha competenze neanche elementari in materia, ma è stato messo là da qualcuno, per ragioni "altre", di sistema.
Isabella mi guarda seria: non ho mai pensato che le donne siano sempre migliori: ci sono tante donne bambole in giro, utilizzate da uomini per il mantenimento del loro controllo. C'è stato recentemente uno scandalo in Toscana sulla vendita di latte artificiale per neonati, nell' interesse di aziende farmaceutiche: tra tutti i pediatri, gli informatori, i primari, i dirigenti sanitari e d'azienda inquisiti, non c'è stata nemmeno una donna... e questo dovrebbe far riflettere un po' tutti!

domenica 21 dicembre 2014

Conciliazione tempi di vita e lavoro: un tema che le organizzazioni aziendali non possono più ignorare

Finché i ruoli fra uomini e donne non saranno riequilibrati, parlare di conciliazione tempi di vita e lavoro significa (purtroppo) parlare principalmente di donne.
Nella maggior parte dei casi, infatti, è scaricato sulle spalle femminili il barcamenarsi tra orari entrata/uscita figli a scuola, orari apertura/chiusura uffici pubblici e negozi. Molto, molto spesso le donne si devono anche occupare della gestione familiare di anziani non autosufficienti di contrappasso con orari lavorativi spesso ingessati in schemi rigidi e poco conciliabili con tutto questo.
Sono ancora poche le aziende italiane che prevedono all'interno della propria organizzazione un'ottica di genere in tal senso, prevedendo ad esempio orari flessibili in entrata/uscita, possibilità di part time per determinati periodi della vita lavorativa per esigenze temporanee, oppure il telelavoro che in Italia ha trovato poche applicazioni.
Naturalmente tutti questi carichi di vita e di lavoro spesso creano stress e diminuzione talvolta della produttività quando invece le donne sanno essere nella maggior parte dei casi molto più efficaci ed efficienti dei colleghi uomini - come dimostrato in molti studi di settore fatti al riguardo – se messe nelle giuste condizioni di vita e lavoro.
La comparazione con gli altri Paesi, specie del Nord Europa ci vede molto indietro anche dal punto di vista della conciliazione orari vita/lavoro e quindi bisogna fortemente far si che cambi la mentalità aziendale, non solo ricorrendo a nuove normative, dal momento che l'azienda ha tutta l'autonomia per darsi un'organizzazione appunto in un ottica di genere. E' necessario quindi che movimenti di opinione, workshop, seminari, forze politiche si facciano carico di promuovere politiche a sostegno della genitorialità e della famiglia. Informare e coinvolgere sempre più le realtà con esempi pratici di fattibilità e risultati concreti di benefici raggiunti in aziende che si sono organizzate seguendo i principi dell'ottica di genere.Le Pari Opportunità di genere, infatti, sono biunivoche, per cui il diritto alla genitorialità e all'inserimento della cultura della cura e della famiglia anche per i compagni uomini, rappresenta un passo determinante per progredire sul versante sia pratico che culturale.

sabato 20 dicembre 2014

Ilaria Alpi, una storia complicata

di Simonetta Ottone. 32 anni. A 32 anni io ho avuto il mio bambino. E forse è stato lui che ha messo al mondo me.
A 32 anni Ilaria è morta.
E' stata fermata, le foto che la ritraggono non sono più cambiate, le guardo e le riguardo da anni, ma sono sempre quelle. Lei è rimasta lì dentro, in quel suv in pieno sole africano.
In questi giorni Luciana Alpi, la madre coraggio che lotta dapiù di 20 anni per fare luce sull'assassinio della propria figlia, una delle pagine più oscure della nostra democrazia avanzata, ha deciso di non continuare a sostenere il Premio giornalistico Ilaria Alpi, perché non lo trova più utile: nessuna indagine, nessuna volontà di restituire giustiziaLa combattente sembra deporre le armi: la battaglia non è una bandiera, né può essere infinita.
Nel ventennale della morte di Ilaria, il tempo ci ha giudicati.
E ho nelle orecchie la sua voce che mi ringraziava per il fatto di parlare in teatro di Ilaria. Lei ringraziava me, per così poco. La sua voce, forte e fiera, si infrangeva in commozione un attimo, ma subito tornava piena d'orgoglio. Una voce così diversa da quella di Giorgio, il padre, che con un filo gentile e pacato, si complimentava: Bravi. Il testo è bello e circostanziato.  E' una storia complicata.
Anch'io mi sento delusa e offesa. Anch'io ho fallito nei miei piccoli intenti di cittadina e artista. Abbandonare il progetto del premio, però, non significa ancora arrendersi: "voglio la verità; la rassegnazione non mi appartiene. La mia non è una resa: dopo le feste dovrebbero mandarci i documenti delle diverse commissioni parlamentari di inchiesta; c'è molta roba e leggerò tutto: vedremo se avranno lasciato qualcosa di interessante o un bel niente. Il tempo è dalla parte degli assassini, ma io spero ancora di sapere, prima di morire. Se non ce la farò, pazienza: la verità storica la sappiamo tutti", dice Luciana Alpi.
Ma mi chiedo cosa voglia dire lasciare questo mondo, come Giorgio ha fatto, con questo nodo immenso. E cosa voglia dire percorrere il tramonto della propria vita assistendo impotenti, come si dice, al rito di uccidere due volte una figlia persa nel fiore degli anni. Simonetta Ottone

venerdì 12 dicembre 2014

Convenzione di Istanbul: l'Italia è pronta?

di Simonetta Ottone • In occasione del 25 Novembre sono stati organizzati dal Consiglio Regionale della Toscana due bei convegni, di cui uno sulla Convenzione di Istanbul. Numerosi gli ospiti, ognuno dei quali ha fornito un punto di vista utile a inquadrare una questione complessa che suggerisce riflessioni di ampio raggio. Mi rifiuto di parlare di violenza di genere (solo) in termini numerici. Ovunque vengono pronunciati numeri inimmaginabili, che hanno solo il suono di parole.
Il 2013 ha visto cifre intollerabili, il 2014 solo lievemente inferiori. Più di 100, in questo anno in Italia, i bambini resi orfani di madre, dai loro stessi padri. E, ogni volta, non ci indigniamo mai abbastanza: alcuni giornali dichiarano di ricevere più proteste e richieste di chiarimenti quando pubblicano notizie di violenza su animali, che su donne.


Nell'Italia della sperquazione dei poteri, la Violenza si riproduce in ogni forma. Il potere dei datori di lavoro aumenta? E così aumentano le molestie sessuali in ambito lavorativo e non sempre la risposta legislativa calza sul mondo reale del lavoro (la lacuna normativa sul mobbing, che colpisce maggiormente la grande impresa, rimane una lacuna insopportabile).
Nonostante una donna uccisa tra le pareti domestiche ogni 2,5 giorni ormai da anni, ancora non c'è una raccolta sistematica di dati che possa fornire correlazioni tra una particolare donna e un particolare uomo, che possa accedere a atti processuali, nel tentativo di dare risposte tempestive a persone violate e prevenirne altre.
"Gli autori di questo tipo di reati, d'altra parte, non rientrano in nessun profilo esistente, né psicologico, né criminologico. Buona parte di ciò che dobbiamo affrontare in questo ambito, ci è ignoto. Ecco perché la politica deve costituire un'Agenzia Nazionale contro la violenza sulle donne", dice Fabio Roia, Magistrato del Tribunale di Milano.
I maltrattanti siamo noi, la gente comune, non incensurati, sono professionisti affermati che si trasformano tra le mura domestiche. Parlare di mostri o di "raptus" (fenomeno pare inesistente anche da un punto di vista psichiatrico), è ostinarsi a non misurarsi con la realtà.
E continua, Roia: "I fatti ci confermano che si parla di un fenomeno che ha una sua specificità: le donne vengono ammazzate perché c'è un'errata valutazione del rischio. Va capito dove si trova il nodo, in che punto ci arrestiamo o torniamo indietro".
Dal momento che una donna narra il fatto, parla di relazioni malate per gelosia o separazione, o per l'affidamento dei figli, deve essere fatta correttamente un'analisi del rischio, sapere quanto questa donna sia esposta o no, se sia necessario l'allontanamento. E allora mi domando: che succede dopo che la donna querela, fa un'azione chiara? Se la mediazione è rischiosa e non da percorrere, siamo però in grado di prendere una donna in carico a 360°?
I dati accennati dal Magistrato dicono che il 77% dei medici di base, il 69% di chi opera nel Pronto Soccorso, il 55% di chi è impegnato in strutture pubbliche, non hanno sentore di trovarsi di fronte alla violenza sulla donna. E la disgregazione sociale, l'assenza di contenimento sociale, accentuano la solitudine della maltrattata.
Se è vero che la soluzione non sta solo nelle aule giudiziarie, siamo pronti sul piano culturale? E quale è la cultura giudiziaria di riferimento? Non sempre i magistrati che giudicano questo tipo di casi sono specializzati in questo ambito specifico. Di fronte a processi recentemente svoltisi in Italia, assistiamo sovente a sentenze paradossali. Come nel caso di uno stupro in cui gli atti processuali dichiaravano che la disparità tra i due non era così forte, perché lei semincosciente (per abuso d'alcol) e lui più giovane di 20 anni. Siamo sicuri che chi giudica conosca tutte quelle scienze complementari necessarie a valutare un ambito così delicato e particolare? E gli avvocati che assistono le vittime sono preparati a far crescere il processo non con elementi effimeri di fronte al giudice? E visto che di solito l'autore del reato vuole sfidare la donna anche in ambito processuale, cosa facciamo in presenza di situazioni che portano alla "vittimizzazione secondaria" stabilita dalla Convenzione di Istanbul, come nel caso di donne che nel processo devono parlare di violenze subite non solo davanti a tutti, ma avendo in faccia il loro aggressore?
Perché in un processo i diritti del deputato non devono superare la tutela e il diritto alla salute della vittima, e in certi casi, come grazie a questa Convenzione la Legge c'è, ma tutti quanti la dobbiamo realizzare, visto che allargare l'interpretazione alla luce della Convenzione è diventata la Legge dello Stato Italiano.
Una Legge molto, molto avanzata per noi, che ci obbliga a fare passi davvero grandi.

venerdì 21 novembre 2014

One Billion Rising 2015: #RiseforRevolution

di Simonetta Ottone - Quest'anno la campagna One Billion Rising Revolution 2015 viene ufficialmente lanciata in occasione delle iniziative per il 25 Novembre, a livello locale e nazionale. La mia rivoluzione inizia nel corpo. Non può più aspettare (Eve Ensler).
Anche da qui invitiamo fin da ora cittadini, enti e associazione a aderire. 
Con la sua prima edizione, il 14 febbraio 2013 la campagna ONE BILLION RISING ha visto uomini e donne di tutto il mondo danzare e scendere in strada per protestare contro la violenza sulle donne. I temi della protesta riguardavano la violenza di genere. Nel 2014 il tema Un miliardo di persone per la Giustizia  (One Billion rising for Justice) ha reso ancora più forte la propria richiesta di porre fine alla violenza contro le donne e le bambine, concentrandosi in particolare sul mettere fine all’impunità e sul legame che esiste tra giustizia sociale e violenza contro le donne.

Anche nel 2014 la partecipazione dell’Italia alla campagna è stata imponente, con numeri eccezionali: hanno aderito importanti associazioni nazionali (Action Aid, Amnesty International Italia, CGIL, D.I.Re , Emergency, Maschile Plurale, Oxfam, Se Non Ora Quando, Terre des Hommes, UDI, Intervita e molte altre) e 200 associazioni locali, più di 150 eventi declinati in molteplici e differenti modalità, circa 250mila partecipanti. Le manifestazioni hanno toccato luoghi simbolo come il Palazzo di Giustizia a Roma, il Tribunale di Napoli e Palermo per chiedere rispetto, dignità e giustizia nella vita di ogni giorno.
Per l'anno 2015, Eve Ensler e il movimento V-Day, ci chiedono che One Billion Rising si espanda in un movimento sempre più decentralizzato, cosa che sta già avvenendo in tutto il mondo, determinato e guidato dalle comunità locali. Per continuare a lottare contro tutte le forme di violenza nei confronti delle donne e contro il sistema patriarcale, fungendo da catalizzatore non solo per reclamare giustizia, ma anche per aiutare a smuovere le coscienze in maniera radicale e arrivare ad una comprensione ed educazione più profonda rispetto ai concetti di uguaglianza, pace, democrazia, libertà, dignità e umanità.
La Rivoluzione di One Billion Rising 2015 è un'escalation delle prime due fasi della nostra campagna: abbiamo danzato. Abbiamo preteso giustizia. Ora pretendiamo cambiamenti.
OBR ha sinora ricevuto grande diffusione in Toscana, e anche per il 2015 sono previste numerose iniziative in città, paesi, Comuni grandi e piccoli.
A Livorno è in programma Our Revolution: dance with your V!  Sarà una grande mobilitazione nel centro  città, il 14 Febbraio 2015, nel V-DAY, organizzata da Associazione Compagnia DanzArte (acdanzarte@libero.it), con il sostegno di Percorsi Musicali, Centro Vertigo (entrambi di Livorno), Scuola DanzAria (Collesalvetti) e con l'adesione di numerose crescenti realtà.

venerdì 14 novembre 2014

Simona Volpi

Mi chiamo Simona Volpi e da oggi contribuirò al blog toscano della Rete-Blog Politica Femminile, accettando con piacere l'invito di questa rete; cercando di focalizzarmi soprattutto su tematiche inerenti il lavoro.
Dopo la Laurea in Giurisprudenza mi sono specializzata in Gestione delle Risorse Umane, Diritto del Lavoro e Pari Opportunità, lavorando per 15 anni in Agenzie per il Lavoro e Aziende come recruiter, formatore e amministrazione del personale. 
Da tempo mi occupo delle problematiche inerenti il ruolo della donna nel settore del Diritto del Lavoro, ho partecipato a Seminari e Convegni sul tema ed ho collaborato a gruppi lavoro della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Livorno.
Inoltre ho avuto modo di svolgere studi di settore per conto di un'Ente di Certificazione che promuoveva uno standard al femminile quale modello da applicare nelle aziende certificate nella qualità
E' proprio grazie a questa esperienza, di lavoro e di studio, che ho iniziato, sempre più, a chiedermi perchè il nostro modello aziendale sia così poco attento al ruolo della donna nel mondo lavorativo, rigido nei suoi orari e modalità; anche se a volte magari riconosce tutele non conformi alle esigenze aziendali...
Il confronto con altri Paesi, specie del Nord Europa è disarmante, siamo ancorati ad una mentalità aziendale da superare e per questo credo che occorrerebbe anche tanta formazione imprenditoriale e non solo nuove leggi al riguardo: soprattutto nel settore privato, non occorre che ci siano norme che permettano flessibilità di orari, affiancamento della donna che rientra dalla maternità, o altre complicazioniNaturalmente molte di queste questioni le ho vissute in prima persona spesso, troppe volte.
Se poi andiamo a vedere nello specifico della città di Livorno, troviamo gravi problemi già solo nell'accesso al mondo del lavoro da parte delle donne: le quali spesso, anche se laureate o diplomate, si devono accontentare di lavori al di sotto del loro livello, più di quanto capiti ai colleghi maschi. Chi invece un titolo nemmeno ce l'ha rischia ancora di più di passare da un lavoro all'altro senza potersi creare una professionalità, aumentando le insicurezze future.
Nella mia esperienza di selezione del personale però, più di ogni altra cosa mi hanno fatto riflettere le donne madri senza lavoro fisso, che proprio per questo non hanno la possibilità di tenere i bambini al nido o materna per cui devono barcamenarsi tra mille ostacoli per poter lavorare qualche ora a chiamata, senza pensare poi ai periodi di vacanza scolastica, in cui devono rinunciare anche alle poche ore di lavoro ottenuto, perchè non sanno dove lasciare i bambini.
Insomma, c'è tanta strada da fare. L'auspicio è trovare da una parte più forza nello stringere più relazioni con le donne che hanno valide proposte, dall'altra che cresca una cultura aziendale sensibile e preparata (e attenzione, spesso sono anche le donne imprenditrici ad adottare un modello prettamente maschile nell'organizzazione del lavoro): per portare anche la nostra Italia ad essere più produttiva e competitiva, permettendo a tutti e tutte di lavorare, e di poterlo fare nel migliore dei modi.

giovedì 13 novembre 2014

Lettura. Scrittura. E intervista a Valerio Nardoni

di Simonetta Ottone: Donna e poesia nello sguardo di Valerio Nardoni
Gli italiani sono un popolo di poeti e scrittori. Ma non hanno bisogno di leggere. Tuttavia, le donne risultano lettrici più forti (2012, Istat, lettrici 51,6%, lettori 38,5%). Inoltre sono più numerose nell'intera filiera dell'industria editoriale, soprattutto di quella emergente; amano anche scrivere, seguono corsi, partecipano a iniziative, la loro fecondità intellettuale alimenta settori di economia legati alla cultura. Editori sostengono che le donne scrivano bene, siano in numero maggiore aspiranti esordienti, ma poi sugli scaffali delle librerie gli autori esposti sono in maggioranza uomini.
Un recente studio americano, condotto dalle principali riviste culturali anglosassoni, ha scoperto una spiccata preferenza mediatica per scrittori e critici uomini e anche l'Observer conferma che attualmente le donne leggono di più in quasi tutte le categorie.
Dunque, pare che una donna sia pubblicata solo quando rientra in una tendenza, una moda, quando scrive di infanzia o di erotico. Forse è vero che i lettori maschi si fidano poco delle donne, mentre quest'ultime sono da sempre le fruitrici, estimatrici, muse e consumatrici di opere maschili, in ogni campo. O forse alla donna manca il tempo di dedicarsi sistematicamente alla scrittura, così viene considerata un'eterna hobbista, o non ha quella componente narcisistica che permette all'altro sesso di cercare un riconoscimento.

Nel mese che celebra la morte di Alda Merini, parlo di tutto questo con Valerio Nardoni, ispanista, impegnato in letteratura e traduzione letteraria. Uno sguardo ampio, poiché Valerio è attivo su più fronti: docente universitario, traduttore di numerose raccolte di poesia spagnola (P. Salinas, F. G. Lorca, P. Neruda...), collabora con La ferita nell'essere, antologia dell'opera di Mario Luzi e con un'antologia dell'opera di Federico García Lorca (Corriere della Sera, Einaudi). Fondatore del progetto editoriale Valigie rosse, autore del romanzo Capelli blu (Edizioni e/o, 2012) e di una raccolta poetica, Senso di facilità (Passigli Editori, 2014).
1 - Valerio, quando ti sei avvicinato alla scrittura? 2 - E chi sono le persone che ti hanno appassionato e accompagnato in questo percorso?
Il mio incontro con la scrittura è stato piuttosto “tardo”: devo tutto a un amico che mi ha prestato un libro in un momento particolare, quando cioè decisi di lasciare la facoltà di Ingegneria ed insieme affittammo uno studio di pittura. Da lì iniziai a leggere molto e a tenere un diario. Con la poesia l'incontro è avvenuto ancora più tardi, cioè quando abbiamo lasciato quello studio ed io mi sono trasferito a Firenze: per merito di un'amica, ebbi la fortuna di conoscere un professore, Gaetano Chiappini, che poi sarebbe diventato il vero maestro di quanto io sia stato capace di imparare. Lui si occupava di letteratura spagnola, era una persona davvero fuori da ogni possibilità di classificazione: l'ho perduto due mesi fa, ancora non riesco a farmene una ragione. Non so di dove ripartire.
Nel campo della poesia non ho mai trovato qualcuno che la capisse più a fondo di lui. E questa non è una frase retorica. Ho conosciuto e frequentato da vicino Mario Luzi, ma saper scrivere e sapere leggere o sapere dire che cosa si è letto sono tutte qualità differenti. Gaetano Chiappini ha fatto innamorare della poesia generazioni di studenti.
Ad ogni modo, ho la fortuna di avere – fin da piccolo, devo dire – anche importanti amicizie con delle donne. Cosa non sempre facile. Nel campo della poesia, incontri determinanti sono state Alberta Bigagli e Clara Janés. Alberta, fiorentina, classe 1928, è l'autrice del primo libro di poesia che io abbia mai letto. Fu il mio professore stesso a consigliarmelo: erano i primissimi tempi che ci conoscevamo, lui sosteneva che io avessi una disposizione naturale alla poesia ed io, che di poesia non ne avevo mai letta – è il bello di essere giovani – gli chiesi di darmene prova! Così un sabato mi regalò un volumetto di versi dicendomi che il lunedì successivo l'autrice di quel libro sarebbe venuta a trovarlo e che io "le avrei spiegato” la sua stessa opera. Diventammo poi molto amici con Alberta: oggi sono curatore della sua opera completa. Clara Janés è invece l'autrice del primo libro di poesia che io abbia tradotto integralmente: ogni volta che vado a Madrid passo sempre da casa di Clara, la sua è davvero una mente indipendente, i pareri che le chiedo sul mondo della letteratura si verificano poi sempre lucidamente esatti. Grazie a Clara ho recuperato un bel po' di del ritardo accumulato durante il mio percorso!
3 - Se apriamo un'antologia di liceo, all'indice troviamo pochissimi nomi di donne. E oggi come va?  
Se pensiamo alla poesia, in giro ci sono troppi e troppo brutti libri di dilettanti – la scarsità di nomi femminili nella maggior parte delle collane può essere una virtù!

venerdì 7 novembre 2014

Dal Consiglio Regionale della Toscana: due inviti per il mese di novembre

Ho il piacere di comunicarvi che, per il mese in cui cade la giornata contro la violenza di genere, il Consiglio regionale promuove due importanti iniziative.
• Giovedì 13 novembre, la presentazione del volume “Sono ancora viva. Voci di donne che hanno detto basta alla violenza di Chiara Brilli ed Elena Guidieri (Ed. Le Lettere). 
Interverrano Teresa Bruno (Presidente di Artemisia) e la giornalista Michaela Barilari. h 16.30, presso Sala Affreschi del Consiglio regionale, in via Cavour 

• Giovedi 27 novembre, il convegno “La convenzione di Istanbul: l’Italia è pronta?” in collaborazione con la Comm. Pari Opportunità del Consiglio regionale e la Comm. Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Firenze. A questa iniziativa porteranno il loro contributo la Sen. Maria Cecilia Guerra, il magistrato Fabio Roia, l’avv. Manuela Ulivi (Di.Re), Rossella Pettinati (Presidente Comm. Pari Opportunità regionale) e Ilaria Chiosi (Presidente Comm. Pari Opportunità Ordine degli Avvocati).

Vi aspetto, Daniela Lastri

martedì 4 novembre 2014

La curva nord di Livorno al fianco della famiglia Cucchi

Di fronte a certe rivendicazioni della violenza come un fatto accettabile - addirittura inevitabile, di fronte all'incapacità di chiedere scusa, siamo tutti #StefanoCucchi. 
Di fronte a certi oltraggi infiniti ci inchiniamo davanti alla famiglia di Stefano, e a quella di Federico Aldrovandi - e altri, e chiediamo anche noi scusa per loro: per quelli che non la sanno chiedere.

venerdì 31 ottobre 2014

1 novembre contro l'Isis: a Firenze in Santa Maria Novella

il 1 novembre 2014 Manifestazione globale contro lo Stato Islamico, per Kobane e per l’Umanità: a Firenze l'appuntamento è alle 14,30 in Piazza Santa Maria Novella.

Il duro assedio attuale, dei criminali dell'ISIS a Kobane, regione curda nel nord della Siria, è solo l'ultimo di una serie di violenti attacchi a quest'area. Nel gennaio di quest’anno i curdi di Rojava (Kurdistan occidentale) hanno costituito amministrazioni locali sotto forma di tre cantoni, uno dei quali è Kobane. Al nord della zona si trova il confine turco, mentre tutti gli altri lati sono circondati da territori già controllati dai miliziani fanatici dell'ISIS, i quali avanzano con forti dotazioni di armi pesanti di fabbricazione USA, perpetrando una efferata carneficina (secondo i curdi "il più brutale genocidio della storia moderna"). Armati solo di armi leggere, gli abitanti di Kobane resistono da soli, assistiti unicamente dalle Unità di Difesa del Popolo e dalle ormai celebri unità di resistenza in cui tanto ruolo hanno le donne - senza alcun aiuto internazionale, e senza nessun sostegno dalla vicina Turchia. Non solo la cosiddetta coalizione internazionale per combattere ISIS non aiuta la resistenza all'Isis in modo efficace, ma in particolare la Turchia (il cui governo è tradizionalmente nemico della minoranza curda), è ritenuta addirittura tra i sostenitori finanziari e militari del terrorismo dello "Stato islamico" in Iraq e Siria. Per questo, dicono gli organizzatori, è urgente e vitale una mobilitazione internazionale e per questo è importante la Manifestazione Globale del 1 novembre. 

Raccogliamo dunque il loro appello:
Vi chiediamo di unirvi alla Manifestazione Globale per Kobanê. Invitiamo le persone in tutto il mondo a mostrare la loro solidarietà con Kobanê. Scendete in piazza e manifestate, dovunque viviate. Se il mondo vuole democrazia in Medio Oriente sostenga la resistenza kurda a Kobanê. 
Solo l’autonomia democratica nel Rojava e il suo modello (chei pratica una posizione laica, non settaria, di unità nella diversità) può promettere un futuro libero per tutti i popoli in Siria.  

martedì 28 ottobre 2014

Non mi scuserò di essere una donna

di Simonetta Ottone Ci sono state le elezioni provinciali in Toscana. Elezioni con modalità particolari, a elettorato ristretto, che danno una visuale parziale. Comunque, per le province di Livorno, Grosseto, Massa Carrara, Pistoia, Prato, Pisa, Arezzo, risultano 6 Presidenti uomini contro 1 sola Presidente donna. Sono quasi tutti Sindaci, e secondo l'ANCI toscana nel Maggio 2014, su 691 candidati a Sindaco, 549 erano uomini (79,5%) e solo 142 donne (20,5%). Non a caso trovare Comuni in Italia guidati da un Sindaco donna è impresa quasi impossibile. Vado a Firenze e vedo che il Consiglio Metropolitano (nato con regole altrettanto particolari simili alle elezioni provinciali), conta 13 uomini e 5 donne. Mentre in Consiglio Regionale gli uomini sono 45 e le donne 10; un po' meglio solo in Giunta regionale: con 6 uomini e 4 donne.  Ma, evidentemente, gli uomini scelgono gli uomini.
Un po' come gli editori, i cui vertici spesso sono maschili, pubblicano più facilmente scrittori uomini.
Insomma, a parità di meriti o con un vantaggio per le donne (non foss'altro perché studiano di più), appare una scelta più sicura, meno discutibile, dare credito a un uomo. E investire su lui, nella speranza di un ritorno certo (?) e  immediato (?). Sicuramente conformistico.
Sono tanti i campi in cui questo emerge, con il suo corollario di contraddizioni.

Poi ci siamo noi in Europa. Gala Leon, ex tennista, è stata nominata capitano della squadra di tennis della Davis; i giocatori uomini di cui è a capo si sono ribellati al suono di "gli spogliatoi non sono posti per donne". Gala Leon è costretta con loro a dare spiegazioni sul suo incarico, ma si rifiuta di lasciarlo o modificarlo, dicendo "Non mi scuserò di essere una donna". 

Voci affermano che Gala Leon non è stata una grande tennista, per cui non può pretendere tutto questo rispetto, cosa che sarebbe andata "d'ufficio" a un uomo. 
Già, quando non ci sono buoni argomenti, agli uomini conviene fare i detrattori dei meriti delle donne. Perché "sono i meriti, non il genere, ciò che è importante e è riconosciuto. Non le quote rosa o i posti per legge. Le pari opportunità ci sono, su base meritoria. Altrimenti sono temi vacui e dannosi, proprio per le donne", mi scrive con arrogante sicurezza un dotto conoscente studioso, improvvisamente preoccupato delle sorti del talento femminile.
Sì perché, io sono femminista nella misura in cui mi manifesto consapevole di essere cresciuta in una cultura maschilista e sento il bisogno di riequilibrare, in modo critico. Sono semplicemente un prodotto della mia educazione, per contrasto.
Serve così poco per essere femminista, e per amare profondamente gli uomini - ma da pari.
Non è facile, però. Perché già nel momento in cui non esprimi loro sudditanza fattiva o psicologica, e lo fai in modo civile, loro si agitano, si compattano nemmeno avessero quattro anni, e ti attaccano insieme. Sei tu il nemico che vuole scardinare un ordine precostituito e in quanto nemico devi essere ridicolizzato, sminuito, in qualche modo abbattuto. Come dire: siamo uguali per forza, perché nego che ci succedano cose diverse, e questo è quanto basta. Semplice. Voi non siete visibili come noi, nei vari ambiti, perché è un fatto di meriti. Dunque noi, non meritiamo abbastanza.
Può essere; ma non mi risulta. Sono sempre stata alla larga dalle ideologie, principalmente perché mi annoiano. Ho bisogno di misurarmi concretamente, libera da cerotti mentali. Questo non piace a tutti.
Ma torniamo al fossilizzato mondo dei partiti e della politica. A cominciare dagli elettori, che cercano nei loro rappresentanti soprattutto una conferma identitaria. Intanto, la massa elettorale femminile spesso è numericamente maggiore. Si presume quindi sia ben rappresentata. Finora no, visto che la politica è un ambito in cui gli uomini hanno prosperato e creato imperi personali.
Il 2013 ha finalmente visto entrare nel Parlamento italiano più donne e giovani. Un fenomeno senza precedenti: le parlamentari sono quasi un terzo dei parlamentari eletti, con un aumento superiore a dieci punti percentuali rispetto al 2008 e quasi un raddoppio rispetto al 2006. Gli sforzi di PD e M5S hanno permesso l'inserimento di donne per un buon 38% e le parlamentai italiane sono in tutto il 31%.
• All'estero scopro che il numero maggiore di parlamentari donne spetta alla Spagna (38%) e alla Germania (32%). L'Italia si trova addirittura davanti a paesi come la Francia (25%), la Gran Bretagna (22%) e USA (solo 18%).
• Riguardo al Parlamento europeo la sessione di apertura del 2014 vede la presenza delle donne al 37%.
Bene, a volte bisogna ricalcolare dove siamo. Soprattutto quando tutto congiura per confonderti. Siamo su una Via che forse è la strada maestra.
Soprattutto se le donne in politica saranno sempre meno immagine e porteranno una qualità e un contenuto diversi, un pensiero autonomo, ricordando le donne invisibili fuori dal Parlamento, pretendendo un confronto decente da parte degli uomini e forse, anche dovuto. La loro politica in fondo, ha ampiamente dimostrato, per come la conosciamo, la sua inadeguatezza e nocività rispetto allo sviluppo della società. Finora la politica ha rispecchiato la società, soprattutto nei paradossi; non solo non l'ha guidata, ma si è inserita nelle sue falle, ampliandole in modo grottesco. Ha fallito il suo pretenzioso ruolo di visione globale.
Ma in quel settore, come in altri dove la presenza dell'uomo è preponderante e dà un taglio, gli ostacoli sono molti, perché gli uomini si barricano e non mollano un centimetro e tu non puoi sempre faticare al quadrato rispetto a loro. E' la solitudine del maratoneta su lunga distanza, quella che viene richiesta alle donne per farsi perdonare il desiderio di valorizzare le proprie attitudini e capacità, come fa di diritto un uomo.
Il grande rimosso collettivo è questa disparità, è l'impossibilità di ammettere che, per come siamo socialmente organizzati, alla donna viene richiesto l'impossibile per essere centrale e determinare scelte nella realtà in cui vive.  [E a volte le donne l'impossibile lo fanno… a quanto pare è grazie a loro che l'avanzamento dei combattenti di Isis ha subito un rallentamento]. 
E questa verità, si deve poter dire a voce alta, senza temere alzate di scudi tanto imbarazzanti quanto ingiustificate.
Perché l'emancipazione delle donne dipende dall'emancipazione degli uomini.
In questo, come in altri fatti della vita, siamo indissolubilmente legati gli uni agli altri.

E a volte le donne l'impossibile lo fanno… a quanto pare è grazie a loro che l'avanzamento dei combattenti di Isis ha subito un rallentamento.  

domenica 26 ottobre 2014

Incontro con Cristina Obber

Lunedi 27 ottobre a Firenze, alla Libreria Feltrinelli, h. 18.00: incontro con Cristina Obber per la presentazione di "L'altra parte di me": una storia d'amore fra due adolescenti lesbiche, che non è solo un romanzo, ma anche un viaggio nei modi di pensare e di vivere la complessità delle relazioni. 
Nel caso: se provate a chiedere a dieci persone cosa significhino i termini accettare e tollerare, vi accorgerete che prevale la percezione più legata alla sopportazione che alla condivisione, nei migliori dei casi all’indulgenza appunto, che ci lascia su piani differenti. 

Rispettare non significa sopportare.
Così nel libro Francesca, la protagonista, si ribella alla tolleranza della sua omosessualità, alla falsa accettazione: quella, appunto che fa sì che nella sua famiglia il suo essere lesbica venga sopportato, come si accetta un dolore, una malattia, una calamità, ma nulla più. E invece Francesca vuole quel più. Quel sostegno che diviene condivisione di felicità, spinta, appoggio, felicità stessa per dei familiari che dovrebbero gioire della tua realizzazione e invece non fanno che soffrire per ciò che non sei e avrebbero tanto voluto tu fossi.
Per altre info e per il programma completo delle presentazioni vedi anche: Si può fare politica con una storia d'amore?

giovedì 16 ottobre 2014

Servono nuovi modi per un nuovo mondo. Parliamone a Firenze

Quale economia? quale finanza? quale crescita? e qual è la responsabilità sociale, quella collettiva, quella individuale nelle direzioni che prendono i "mercati", trascinando con sé le persone (ma anche gli animali, le risorse naturali, ogni cosa vivente) come maree?

Il nostro mondo è esausto. Le mille crisi che si manifestano su ogni piano sembrano tutte senza vie di uscita. Quelli che ci hanno portato fino qui restano saldi ai loro posti e non si sognano di avere idee nuove. Noi ci sentiamo impotenti ma in realtà incidiamo, ogni giorno, con le nostre scelte, in tutto ciò che accade.
In tutto ciò come possiamo incidere meglio e più coscientemente? come trovare nuovi modi per un nuovo mondo?

Dal 17 al 19 ottobre su tutto questo si può ragionare insieme, a Firenze a Novo Modo: un festival civile sulla responsabilità sociale. 
Incontri e azioni per la salvaguardia e la promozione di un welfare inclusivo e sostenibile, per la difesa e la promozione del bene comune dell'ambiente, per la costruzione di un modello sociale mediterraneo di pace e ospitale.
Per tre giorni si parlerà di nuova economia, ambiente, crisi climatica. Di responsabilità delle forze sociali e della politica. Di lotta alle mafie, di lavoro e diritti, di finanza e credo etico
Gli organizzatori dichiarano di voler riportare la responsabilità al centro del nostro agire e di cercare un nuovo modo di leggere e affrontare le conseguenze della crisi. Guardano a un nuovo patto sociale, ampiamente condiviso, che unisca la solidarietà con la creatività, la fiducia con l’intelligenza. Sperano di condividere una carta di impegni e di obiettivi per un nuovo modello sociale.
Aprirà il festival, venerdì 17 ottobre alle 10.30, la Ministra per gli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta. Si susseguiranno poi numerosi appuntamenti in cui sarà possibile confrontarsi con molti protagonisti di iniziative di responsabilità; da don Maurizio Patriciello (il parroco di Caivano che ha dato voce alla Terra dei Fuochi) a Monica Sarsini (che ne ha data alle detenute di Sollicciano).
Dalle 10.00 alle 19.30 presso Auditorium di Sant’Apollonia, via San Gallo 25/a.
Organizzato da: ACLI, ARCI, Banca Popolare Etica, Caritas, CISL, Fond. Culturale Responsabilità Etica, Legambiente.  Ingresso libero.

domenica 5 ottobre 2014

Città d'acqua

di Simonetta Ottone • Toscana, terra di artisti e di artigiani, dicevano.
La storia ne ha fatto terra di eccellenze, di straordinarietà. Ancora oggi è piena di possibilità, spesso inespresse, e  la geografia continua a benedirla.        
Livorno è la terza città della regione per popolazione, la quinta dell'Italia centrale. Ha un grande, sconfinato orizzonte, una luce chiara e piena, ma gioca da tempo il ruolo di una Toscana minore, alla periferia dell'impero. 
Livorno, tra terra e acqua, tra campagna e città, si è dimenticata di sé e si è fermata; solo di rado ricorda incredula glorie di un passato che ha preso le sembianze della decadenza, della dimenticanza. 
Quell'epoca ha preso il largo e non è tornata più, di nuovo, nel nostro porto mediceo. Banchine vuote e attracchi disertati ci trattengono lo sguardo, in attesa, e ci muovono l'umore di fondo di una melanconia, tutta labronica, goffamente malcelata  di ironia.

Luogo calamita, Livorno gode di un particolare microclima emotivo, dove il mondo fuori sembra lontano, un po' irreale e non così desiderabile. E' anche un posto che fa nascere la creatività, ma poi non sa che farci, così anziché farla volare oltre il mare, ce la affoga.
Livorno è così imperfetta che si riempie di poesia. Forse è per questo che ha sempre attirato numerosi e bravi artisti, alla ricerca dei grandi, che eppure qui nacquero Modì, Mascagni, Caproni,  Ciampi. Alcuni l'hanno scelta come luogo in cui vivere e creare, altri, tantissimi, come quei  Maestri, non son potuti rimanere, altri ancora la vivono come una tappa, piacevole ma non fondamentale, della loro forzata traiettoria nomade.
Un po' come noi che ci abitiamo, e seminiamo di continuo nella sabbia, in attesa di quei grandi appuntamenti che altre italie riescono a cogliere, subito, o addirittura a far nascere.
Spaccata in 19 liste elettorali alle ultime amministrative (tantissime le liste civiche), la città è l'emblema della difficoltà tutta italiana a accettare un cambiamento radicale.
9,4% è la percentuale di disoccupazione femminile, 7,9 quella maschile.
9688 le donne laureate nel 2011, 8248 gli uomini.
Problemi abitativi cronici, scarsità di servizi per l'infanzia (nidi pubblici e scuole materne), in aumento la richiesta d'intervento per dipendenze, in particolare da alcol e giochi d'azzardo, disagi psichici e sociali. Abbattimento massivo di presidi culturali, chiusura della maggior parte di sale, teatri e cinema. 
Livorno è una città che sta male, da tempo. Basta avere occhi per vedere. E' una città maschia, però: degli undici candidati a Sindaco, solo tre erano donne.
Riconfermata quindi una qualità di potere, una fiducia a una leadership tutta maschile; arriva subito una guerra senza quartiere tra cittadini, un tutti contro tutti volto non solo a sconfiggere, ma addirittura a umiliare la compagine partitica che aveva guidato la città negli ultimi 70 anni e di cui, nel bene o nel male, eravamo figli tutti.
Anziché allearsi tra fratelli e pretendere che i padri, che hanno cannibalizzato tutto e tutto tenuto per sé, organizzassero il loro tramonto, come cittadini consapevoli si aspettano dai loro rappresentanti, ne abbiamo approfittato per fare altro. Il nostro istinto territoriale ha predominato, eccitando la distruzione nella distruzione, e ci siamo predati la città.
Il progetto è riuscito, la bellezza guerriera ha trionfato e si è usciti, per un attimo memorabile, dalla penombra. Le armi brillavano, e tutta Europa parlava di noi.
Ma la guerra è guerra e ora tutti hanno più ragioni di essere contro tutti. E la città implode.
D'altra parte, come era possibile il contrario? Come influire e determinare un cambiamento se si perpetua il modello responsabile della deriva della politica italiana?
Reclamo il diritto alla parità di genere per gli uomini italiani.
Vorrei che ne beneficiassero, vorrei non fossero più imprigionati da un'idea culturale che li faccia pensare e agire in una perenne contrapposizione di valori. Perché è una voragine senza fine quella che ci porta, tutti quanti, a identificarci come amici e nemici, a vivere il confronto come una battaglia, a manipolare la disperazione delle persone, per essere sicuri di uccidere il nemico.
Nell'ultima competizione elettorale, poi, il nemico era ovunque.
E l'essere accecati non ha permesso di capire che si confondevano i piani: il pubblico e il privato, titoli e esperienza, il personale e il politico, teoria e pratica, organizzazione e approssimazione. Il successo è stato l'insuccesso dell'altro, l'altro che non è stato nei tempi e nei metodi necessari al rinnovamento profondo auspicato dai cittadini stessi.  L'altro che non è voluto cambiare.
C'è stato un vincitore e un perdente, come in tutte le guerre da millenni or sono. 
Non sarebbe stata guerra se ci fossimo definiti su quello che siamo, sulla vita che facciamo, su ciò che desideriamo, sul futuro che cerchiamo. Uno spettro possibile, capace di creare un progetto di cura e di rinascita della città,  senza predare, ma investendo su una visione comune, mettendo in campo tutte le forze migliori, e dando vita a ciò che non c'è. Consapevoli, ognuno, delle proprie fragilità, e facendo tesoro delle differenze.
Ma Livorno è una città maschia, e irrimediabilmente vecchia, perché ha scelto un progetto di morte.
Un luogo bellissimo e selvaggio, libero e prigioniero, dove trionfa ancora l'appartenenza al branco, qualsiasi branco, anche improvvisato, dove sia possibile confezionare identità, successo e potere a basso sforzo, senza troppe pretese e reali aspirazioni.
E sì che ogni comandante d'esercito sa di essere arbitro del destino di un popolo, l'uomo dal quale dipenderà se la nazione sarà in pace oppure in pericolo. 
Ma noi guerreggiamo, poi disquisiamo, inventiamo nuove battaglie, giusto per non slanciarsi, oltre l'illusione della rivoluzione, in una evoluzione possibile.
E intanto il mare, quello blu dei macchiaioli, è lì davanti a noi e ci dà opportunità grandi, per meritarcelo. Il nostro mare è ciò che gli altri non hanno.
Con la Legge Del Rio sul riordino delle province, il grosso baricentro della Toscana centrale sono i comuni della piana: Firenze e la città metropolitana avrà la possibilità di intercettare finanziamenti e concretizzare politiche di sviluppo.
La zona costiera dovrà cogliere l'occasione: il riordino delle province apre una possibilità entusiasmante per  mettere a sistema qualità, mettendo a frutto ciò che manca agli altri. Pisa, infatti, ha il sapere tecnologico, Lucca l'interesse storico, ambientale e turistico, Livorno il mare.
Il porto è una porta sul mondo esterno, è un punto di contatto, da valorizzare al massimo. E' un accesso a tutta la Toscana, che avvantaggia e deve interessare tutti. Un piano regolatore che permetta a una parte della città di essere più integrata col porto è una scelta necessaria al rilancio della città e un'opportunità vera per tutta la regione, poichè è un centro logistico industriale senza eguali in Italia e al centro dell'Italia stessa. E' auspicabile che sia possibile programmare insieme, in una rete di territori e realtà, settori come porti e interporti, e non solo.
La Cultura, che rischia di rimanere un settore affamato rispetto al gigante metropolitano, è un ambito collegato al transito delle persone e al turismo, potrebbe moltiplicare l'economia, attraverso la creazione di un'area della costa toscana, declinata nella forma di distretto culturale. In questo modo,  le svariate realtà, sia di base che specifiche, potranno alimentare un circolo virtuoso di collaborazioni, scambi, divisioni di specificità e di costi. E la provincia di Livorno si estende dritta e lunga, per oltre 100 Km di costa, e anima un arcipelago di festival, teatri, manifestazioni che denotano una vivacità e dinamicità del tutto peculiari e da valorizzare.
E forse è proprio vero, che il nostro mare, con i suoi porti, interporti, retroporti, porte aperte da attraversare e abitare, è ciò che, legando il passato col presente, ci chiede di liberarci dalla mentalità arcaica della predazione e del controllo autoreferenziale del territorio.
Solo così, aprendoci in orizzontale, potremo mantenere quell'identità di "gente di mare" del XXI° secolo, con sguardo chiaro e schietto che sa guardare lontano.